Annullamento dell’aggiudicazione e ristoro ( parziale ) del danno.
Il Consiglio di Stato accoglie l’appello per l’annullamento dell’aggiudicazione, in ragione della mancanza dei requisiti tecnici richiesti per la fornitura in appalto.
Ma l’istanza di dichiarazione dell’inefficacia del contratto con conseguente subentro della ricorrente nella rimanente parte di servizio ancora da espletare non può invece essere accolta, poiché la parte appellata ha allegato in corso di causa che il contratto stipulato ha esaurito già da tempo la sua durata (pari 12 mesi) e non ne è stato disposto il rinnovo (pur previsto dalla disciplina di gara).
L’impresa appellante richiede il ristoro del danno sotto forma del “mancato utile derivante dalla illegittima pretermissione dalla commessa e dal danno curriculare, inteso come mancata corrispondente implementazione dei requisiti di qualificazione
Nell’atto di appello, l’impresa ha sollecitato la quantificazione del mancato utile in applicazione del criterio normativo di cui all’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F, che lo fissa, in via presuntiva, nella misura del 10% dell’importo dell’offerta.
L’appellante ha altresì chiesto di essere ristorata del danno patito per essere stata impossibilitata a fare valere, in altre contrattazioni, il requisito economico legato all’esecuzione della commessa, stimando tale voce di danno, in via di prima approssimazione, nella misura del 3% dell’importo dell’appalto ma riservandosi di meglio indicarla e quantificarla in corso di causa .
Consiglio di Stato, Sez. III, 05/ 03/2020, n.1607 così decide:
Delle due voci di danno dedotte, la richiesta di risarcimento del danno curriculare va respinta per mancato assolvimento del relativo onere probatorio.
L’appellante non ha infatti dimostrato che la mancata aggiudicazione ed esecuzione del servizio oggetto del presente giudizio le hanno precluso di acquisire ulteriori commesse pubbliche (di pari o superiore rilievo), né ha specificato quali sarebbero state le negative ricadute che la mancata acquisizione della commessa ha cagionato, in termini di minore capacità competitiva e reddituale, sulle sue credenziali tecniche e commerciali.
Da tali elementi dimostrativi non può qui prescindersi, essendosi la più condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio e della sua Adunanza Plenaria (v sent. n. 2/2017) oramai attestata nel ritenere necessaria la comprova specifica e circostanziata del profilo di danno cd. “curriculare” (v. Cons. Stato, III, n. 2435/2019; Cons. Stato, V, n. 5283/2019; 14/2019; n. 2527/2018; n. 5322/2016).
L’unica voce di pregiudizio risarcibile risulta essere, pertanto, quella relativa alla perdita dell’utile. Si tratta di una lesione connessa, in via immediata e diretta, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., alla mancata esecuzione del contratto di appalto e la cui entità si presume correlata all’offerta presentata in gara, ovvero al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta.
Se tali sono i parametri di riferimento utili alla quantificazione del danno, non può trovare ingresso la diversa ponderazione rapportata alla misura percentuale del 10% dell’importo dell’offerta, in quanto fondata su di un criterio forfettario e presuntivo, frutto della trasposizione di quanto in allora previsto in caso di recesso dell’amministrazione dal contratto di appalto (art. 134, comma 1, del previgente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006), che la giurisprudenza amministrativa ha tuttavia ormai abbandonato (ex plurimis: Cons. Stato, III, n. 2435/2019), a ciò indotta dalla prescrizione di legge secondo la quale il danno da mancata aggiudicazione deve essere “provato” (art. 124, comma 1, Cod. proc. amm.). L’oggetto di questa prova, appunto, deve avere riguardo al margine di utile effettivo, quale ritraibile dal ribasso offerto dall’impresa nel corso della gara.
In difetto di allegazioni ulteriori che consentano allo stato una immediata stima del presumibile ristoro, non resta, per la liquidazione del mancato utile da attribuire alla XXX a titolo risarcitorio, che fare ricorso alla tecnica, propria del danno da illegittimità provvedimentale, della c.d. condanna sui criteri prevista dall’art. 34, comma 4, c.p.a..
Il Consiglio di Stato pertanto ordina alla stazione appaltante di proporre all’appellante il pagamento di una somma, a titolo di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione della procedura in questione, nella percentuale di utile determinato sulla base del ribasso del prezzo offerto dall’impresa in gara.
Tale importo dovrà essere decurtato dell’eventuale aliunde perceptum conseguito dall’impresa nell’esecuzione di altri lavori durante il tempo di svolgimento del contratto di cui è causa ( l’impresa appellante fornirà alla stazione appaltante i dati relativi ai lavori assunti nel periodo di durata del contratto).
La somma così individuata dovrà essere maggiorata di rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza il danno al momento della sua liquidazione monetaria, e degli interessi fino alla data del soddisfo, nella misura del tasso legale.
All’amministrazione soccombente è assegnato il termine di 90 giorni dalla comunicazione in via amministrativa, o se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza, per formulare all’odierna appellante una proposta contenente la somma liquidata a titolo di risarcimento.
A cura di giurisprudenzappalti.it del 05/03/2020 – autore Roberto Donati
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