E’ possibile “rinegoziare”, ed eventualmente entro che limiti, il contenuto di alcune clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e il contratto?

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E’ possibile “rinegoziare”, ed eventualmente entro che limiti, il contenuto di alcune clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e il contratto?

Dal Tar Sardegna viene espressa risposta affermativa, su una fattispecie ( contratto stipulato dopo diversi anni dalla gara ) che merita di essere segnalata perché si discosta da recentissime posizioni del Consiglio di Stato (si veda  https://www.giurisprudenzappalti.it/sentenze/listanza-di-revisione-del-prezzo-formulata-dallaggiudicataria-prima-della-stipulazione-del-contratto-non-e-giuridicamente-ipotizzabile-ne-ammissibile-il-consiglio-di-stato/).

La controversia riguarda la validità dell’art. 3 del contratto stipulato tra le parti, che, premesso l’ammontare dell’appalto, “salvo quanto previsto riguardo gli eventuali adeguamenti del canone, da riconoscere all’Appaltatore, di cui al presente contratti (a solo titolo esemplificativo e non esaustivo: maggiori utenze (…)”, prevede l’adeguamento del canone non solo in riferimento all’indice FOI, ma anche “in base al maggior costo del personale rispetto a quello vigente alla data di presentazione dell’offerta (come da Tabelle pubblicate dal Ministero del Lavoro – Novembre 2010)”.

Per il Comune resistente tale previsione contrattuale sarebbe nulla, in quanto contrastante con lo schema di contratto allegato all’aggiudicazione, che riprendeva il contenuto del Capitolato e limitava la revisione prezzi entro il limite di cui all’indice FOI.

Per cui il contratto stipulato sarebbe nullo in parte qua, per contrasto anche con quanto previsto dall’art. 115 del D.lgs. n. 163/2006, ratione temporis applicabile, che prevede inderogabilmente la previsione di una clausola di revisione prezzi nel limite massimo dell’indice FOI, salva la ricorrenza di circostanze eccezionali ed imprevedibili, nonché perché, in tal modo, il contratto avrebbe sostanzialmente rinegoziato le condizioni poste a base della gara.

La ricorrente, invece, replica che “nella fattispecie non si discorre dell’adeguamento prezzi annuale (che è un evento fisiologico di ogni contratto d’appalto), bensì della determinazione del corrispettivo di base, che, in seguito ad una situazione patologica (la stipulazione del contratto a distanza di due anni dalla gara) non era più coerente, già al momento dell’avvio del servizio, con i costi del servizio messo in gara (perché, nelle more, era aumentato il numero di utenti da servire ed era aumentato, altresì, il costo del lavoro)”, risultando perciò inconferenti le considerazioni in merito all’insuperabilità dell’indice FOI.

Tar Sardegna, Sez. II, 16/11/2022, n. 770 accoglie il ricorso:

10. Ciò che deve dunque essere valutato è se tale attività negoziale posta in essere dalle parti dopo l’aggiudicazione si ponga in senso innovativo, quale rinegoziazione, pure eccepita dall’amministrazione come non consentita, rispetto a quanto oggetto della gara, risultando perciò un contratto modificato inammissibilmente, poiché sarebbe dovuto essere posto a base di una nuova gara.

La questione giuridica è, perciò, quella inerente alla portata e ai limiti del principio di immodificabilità delle clausole contenute nella legge di gara e, segnatamente, se sia possibile “rinegoziare” (rectius: “negoziare”), ed eventualmente entro che limiti, il contenuto di alcune clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e il contratto.

11. In merito, si registrano in giurisprudenza orientamenti contrastanti.

11.1. Secondo una prima impostazione, manifestatasi proprio in una vicenda analoga a quella che occupa, nella quale un’impresa – essendo decorso un apprezzabile lasso di tempo tra l’espletamento della gara, l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto, anche in quel caso a causa di un lungo contenzioso – sosteneva che l’Amministrazione avrebbe dovuto adeguare il prezzo dedotto in contratto in considerazione dell’aumento dei costi di produzione registratosi tra la presentazione dell’offerta e la sottoscrizione dell’accordo, tale possibilità deve essere esclusa.

In tal senso, la giurisprudenza ha rilevato che “l’istanza di revisione del prezzo è stata formulata dall’impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto, ossia in un momento in cui, non essendo ancora in essere alcun rapporto contrattuale, non era giuridicamente ipotizzabile nè ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso. E così come nel corso del rapporto contrattuale l’impresa appaltatrice è tutelata, in caso di un esorbitante aumento dei costi del servizio, dall’istituto della revisione del prezzo (ove previsto dagli atti di gara) ovvero dalla possibilità di esperire i rimedi civilistici di risoluzione del vincolo sinallagmatico, nel diverso caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta” (T.A.R. Lombardia, Brescia, 10 marzo 2022, n. 239; in termini anche T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10.06.2022, n. 1343, richiamata dall’amministrazione in sede di discussione orale).

La tesi dunque esclude l’ammissibilità dell’applicazione analogica dell’istituto previsto dall’art. 115 del D.lgs. n. 163/2006, ratione temporis applicabile all’odierno giudizio, ed oggi disciplinato dall’art. 106 del D.lgs. n. 50/2016, ad un momento antecedente alla stipulazione del contratto, perché lo spazio che precede la stipulazione sarebbe già pienamente regolato dai principi dell’evidenza pubblica e della “par condicio” tra concorrenti, nonché dell’immodificabilità dell’offerta, i quali non consentono alcun cambiamento dell’oggetto dell’appalto o del contenuto della proposta del privato (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 27 novembre 2017, n. 11732).

11.2. Altra tesi, anche recentemente sostenuta in giurisprudenza, ha ritenuto, al contrario, valorizzando la ratio dell’istituto in esame, che esso “sia ascrivibile, nel suo complesso, sia all’esigenza di governare le sopravvenienze contrattuali sia a quella di evitare (in un contesto in cui l’appello al mercato è la regola) vere e proprie forme di diseconomia procedimentale”.

In tal senso, si è ricordato che la legislazione in materia di appalti pubblici è sì ispirata al rispetto del principio di concorrenza, ma anche informata ai criteri di efficacia ed economicità, e anche come sia irragionevole “ogni azzeramento di una procedura amministrativa in assenza di specifiche illegittimità che la affliggano”, vieppiù nella particolare ipotesi in cui l’impresa sia rimasta “vittima” delle sopravvenienze.

Rispetto alla necessità di intervenuta stipulazione del contratto, tale tesi ha evidenziato come tale momento sarebbe dirimente ai fini del riparto di giurisdizione “quale elemento cardine di passaggio dalla fase pubblicistica a quella privatistica”, ma non rivestirebbe analoga importanza se si guarda “alla realtà economica dell’appalto, che presenta invece una sua fisiologica continuità”, come dimostrato, da un lato, dal fatto che può essere richiesta l’esecuzione anticipata prima della sottoscrizione dell’accordo e, dall’altro, che anche nella fase successiva la natura pubblica dell’appaltante può giustificare ipotesi speciali di caducazione del rapporto, come la risoluzione a seguito dell’emissione di un’interdittiva antimafia a carico dell’impresa.

Sotto altro profilo, si è poi rilevato che “la scelta dell’amministrazione di individuare i termini della necessaria rinegoziazione ancor prima di procedere alla stipulazione del contratto si configura in fondo come prudente, poiché, posto che la rinegoziazione implica ovviamente l’accordo della controparte, ove tale accordo non fosse stato raggiunto, si sarebbe rafforzata in capo all’amministrazione una possibilità di revoca fondata sulle sopravvenienze organizzative e su un ragionevole rispetto delle aspettative dell’aggiudicatario” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667).

Nello stesso senso, altra giurisprudenza, anch’essa occupatasi di vicenda nella quale si erano succeduti annullamenti dell’aggiudicazione e ricorsi giurisdizionali, ha, in termini generali, ricordato che “il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto.

Corte di Giustizia UE, sez. VIII, nella sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14, ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale.

Ciò avviene, ha stabilito la Corte, solo quando le modifiche previste hanno l’effetto: a) di estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti; b) di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario; c) di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, «se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi”.

Su tali basi, e richiamando l’istituto di cui all’art. 106 del vigente Codice dei Contratti, tale tesi ha ritenuto che tale complesso di principi e regole trovi applicazione “anche al caso di specie ancorché le sopravvenienze che hanno determinato le modifiche deliberate dalla Regione siano intervenute nella fase fra la aggiudicazione e la stipula del contratto.

In primo luogo perché essendo stata causata la considerevole dilatazione della durata di tale fase dal contenzioso instaurato da ….. deve trovare applicazione il generale principio secondo cui i tempi del giudizio non devono di per sé incidere sul rapporto controverso, non potendosi ammettere che la instaurazione di lunghi contenziosi possa assumere (anche in via indiretta ed involontaria) connotati strumentali che vadano oltre la reintegrazione delle posizioni soggettive lese.

In secondo luogo, militano a favore della soluzione accolta anche i principi di buona amministrazione ed economia delle risorse pubbliche: la indizione di una gara per l’affidamento della concessione di trasporto pubblico locale costituisce un impegno straordinario per l’amministrazione oltre a rispondere ad esigenze essenziali della collettività. Per questo i suoi esiti non possono essere vanificati in ragione di qualunque sopravvenienza che imponga una revisione delle condizioni contrattuali originariamente fissate, dovendosi pervenire alla sua reiterazione, così come in fase di esecuzione del contratto, solo se le modifiche assumano carattere essenziale” (T.A.R. Toscana, Sez. I, 25 febbraio 2022, n. 228).

12. Ad avviso del Collegio, tale seconda tesi merita condivisione e può ben trovare applicazione al caso che occupa.

In uno con tutte le motivazioni già ampiamente illustrate nei precedenti richiamati, il Collegio condivide altresì gli assunti dottrinali favorevoli a questa seconda impostazione ermeneutica, che richiamano, da un lato, la correttezza del ricorso all’analogia essendovene tutti presupposti, di cui all’art. 12 disp. prel. c.c., quali la lacuna dell’ordinamento, in quanto non vi è una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto e l'”eadem ratio”; dall’altro, la corretta applicazione del principio di economicità, dunque di buon andamento, dell’amministrazione (richiamato dall’art. 30, comma 1, del codice dei contratti pubblici), perché scongiura una riedizione della procedura, che diversamente s’imporrebbe in tutti i casi di modifica, ancorché non “essenziale”, delle condizioni.

Nondimeno, appare condivisibile il richiamo già svolto dalla giurisprudenza sopra esposta all’impostazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che nella sua impostazione si riferisce sempre al momento dell’aggiudicazione, ammettendo come visto le modifiche non sostanziali, valorizzando dunque la tipologia e non il momento in cui intervengono.

13. Su tali basi allora, deve ritenersi che, in senso contrario a quanto dedotto dal Comune, anche negli atti impugnati, la clausola di cui all’art. 3 del contratto stipulato tra le parti, nella parte in cui ha previsto un adeguamento del compenso per l’appalto rispetto alla procedura di gara, in ragione del lungo tempo trascorso tra la presentazione dell’offerta e la stipulazione del contratto stesso, in relazione all’aumento del costo del personale e del numero delle utenze nelle more intervenuto (prima della stipulazione del contratto), non possa essere considerata nulla.

14.Conseguentemente, gli atti impugnati devono essere annullati, siccome illegittimi nella parte in cui hanno ritenuto nulla la clausola contrattuale su cui era fondata la pretesa della parte ricorrente.

A cura di giurisprudenzappalti.it del 16/11/2022 di Roberto Donati

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