Retrocessione totale e parziale del bene ai sensi del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327
Il Consiglio di Stato, nell’accogliere l’appello, ricorda la distinzione tra retrocessione totale e parziale dei beni espropriati ai sensi del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (articoli 46 e 47). La distinzione ha risvolti anche in punto di riparto di giurisdizione.
Questo quanto stabilito da Consiglio di Stato, Sez. IV, 30/08/2024, n. 7317:
L’appello è fondato.
Innanzitutto, occorre ribadire la distinzione tra retrocessione totale e parziale ai sensi del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
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SCARICA GRATIS LA GUIDACome è noto, l’art. 46 (retrocessione totale) del citato decreto consente al soggetto che ha subìto un procedimento espropriativo di chiedere la restituzione del bene espropriato ed il pagamento di una indennità nei casi in cui l’opera pubblica “non è stata realizzata o cominciata entro il termine di dieci anni, decorrente dalla data in cui è stato eseguito il decreto di esproprio” oppure, anche in epoca anteriore, se risulta “l’impossibilità della sua esecuzione”.
Invece, l’art. 47 (retrocessione parziale) del medesimo decreto consente al soggetto espropriato di chiedere “la restituzione della parte del bene, già di sua proprietà, che non sia stata utilizzata”, nell’ipotesi in cui l’opera pubblica sia stata comunque realizzata.
In tal caso, il soggetto beneficiario dell’espropriazione, è tenuto ad indicare “i beni che non servono all’esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità e che possono essere ritrasferiti, nonché il relativo corrispettivo”, mediante lettera raccomandata, con avviso di ricevimento, trasmessa al proprietario e al Comune nel cui territorio si trova il bene.
Pertanto, in tale ipotesi, rispetto ai beni espropriati ma inutilizzati, sussiste ancora la possibilità di esercitare una valutazione discrezionale circa la convenienza di utilizzarli in funzione dell’opera realizzata.
Ne consegue, quindi, che tali beni possono essere restituiti solo se l’amministrazione abbia dichiarato che essi non servono più alla realizzazione dell’opera nel suo complesso (c.d. dichiarazione di inservibilità, già prevista anche dall’art. 61 della legge n. 2359 del 1985).
Tale distinzione tra retrocessione totale e parziale, fondata sull’esecuzione o meno dell’opera pubblica, ha dei risvolti anche in punto di riparto di giurisdizione.
Invero, mentre nel caso di mancata esecuzione dell’opera pubblica nei termini previsti sussiste un diritto soggettivo alla retrocessione totale in capo al soggetto espropriato, azionabile dinanzi al giudice ordinario, nel caso invece in cui, dopo la esecuzione totale o parziale dell’opera medesima, alcuni dei fondi espropriati non abbiano ricevuto la prevista destinazione, l’ex proprietario è titolare di un interesse legittimo pretensivo alla retrocessione parziale dei beni, tutelabile innanzi al giudice amministrativo, essendo la pretesa alla restituzione subordinata ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione. Solo dopo che sia stata emanata la formale dichiarazione di inservibilità, gli espropriati sono titolari, come per la retrocessione totale, di un diritto soggettivo, lo jus ad rem, che consente loro di agire per chiedere la restituzione dei beni espropriati e non utilizzati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 gennaio 2019, n. 22).
Sul punto, infatti, occorre ribadire il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo cui “Ai fini dell’indagine sulla proponibilità davanti al giudice ordinario della domanda di retrocessione di beni espropriati, occorre distinguere l’ipotesi in cui l’opera pubblica non sia stata eseguita, e siano decorsi i termini a tale uopo concessi o prorogati (art. 63 l. 25 giugno 1865 n. 2359), dall’ipotesi in cui, dopo la esecuzione totale o parziale dell’opera medesima, alcuni dei fondi espropriati non abbiano ricevuto la prevista destinazione (art. 60 e 61 della citata legge), atteso che, mentre nel primo caso il diritto soggettivo alla retrocessione, azionabile davanti all’Ago, sorge automaticamente per effetto di detta mancata realizzazione, e quindi a prescindere da qualsiasi valutazione discrezionale dell’amministrazione, nel secondo caso il diritto stesso nasce solo se ed in quanto l’amministrazione, con valutazione discrezionale (al cospetto della quale la posizione soggettiva del privato è di interesse legittimo) abbia dichiarato che quei fondi più non servano all’opera pubblica” (Cass. sez. un., 8 marzo 2006, n. 4894).
Inoltre, è stato anche precisato che “L’incompleta realizzazione dell’opera non dà luogo alla retrocessione totale di quelle aree non ancora utilizzate alla scadenza della data fissata per l’ultimazione dell’opera, ma solo alla retrocessione parziale dei relitti e ciò anche nel caso in cui uno di essi venga a coincidere con l’intera superficie espropriata in danno di un singolo proprietario, il quale non è, pertanto, titolare di una posizione di diritto soggettivo tutelabile innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria finché non sia intervenuta la dichiarazione di inservibilità di cui all’art. 61 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, con la conseguenza che la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo” (Cass. sez. un., 8 marzo 2006, n. 4894, cit.; Cass. sez. un. 16 maggio 2014, n. 10824).
Ciò posto, ritiene il Collegio che la posizione giuridica soggettiva di parte ricorrente debba essere qualificata in termini di interesse legittimo, con conseguente devoluzione della controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo.
A cura di giurisprudenzappalti.it del 30/08/2024 di Roberto Donati
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