Anche il limite al subappalto previsto dal comma 5 dell’art. 105 (SIOS) è (era) incompatibile col diritto euro-unitario
La quaestio iuris oggetto della sentenza che si riporta attiene alla legittimità degli atti di gara, in riferimento:
- a quanto previsto dall’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, circa il limite generale del subappalto (ratione temporis fissato nella misura del 40%) dell’importo complessivo dei lavori;
- a quanto previsto dall’art. 105, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016 circa il limite del subappalto nella misura del 30% dell’importo delle opere di cui all’art. 89, comma 11, cioè quelle rientranti nelle categorie super specialistiche (c.d. SIOS);
Nella redazione degli atti di gara, infatti, la stazione appaltante aveva materialmente disapplicato dette norme, in quanto ritenute non conformi al diritto euro-unitario.
In fase di gara un offerente aveva indicato la volontà di subappaltare il 100% di una categoria superspecialistica e, quindi, il ricorrente in primo grado ne chiedeva l’esclusione, per violazione di ambedue i limiti previsti dall’art. 105, commi 2 e 5 del Codice.
La pronuncia di primo grado accoglieva il ricorso, in quanto:
- l’appalto era sotto la soglia comunitaria, e non prevedeva alcun interesse transfrontaliero certo; con la conseguente doverosa applicazione dell’allora vigente art. 1, comma 18, primo periodo, D.L. n. 32/2019 conv. nella L. n. 55/2019 e dell’art. 105, comma 5, D.Lg.vo n. 50/2016.
- comunque, il predetto art. 105, comma 5, D.Lg.vo n. 50/2016, nella parte in cui stabilisce che il subappalto delle opere superspecialistiche, non viola il diritto europeo, come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con le suddette Sentenze del 26.9.2019 nella causa n. 63/2018 e del 27.11.2019 nella causa n. 402/2018, in quanto non costituisce un divieto generalizzato di ricorrere al subappalto oltre una certa percentuale, ma si riferisce a determinate tipologie di lavori speciali, che giustificano la determinazione di una soglia di esperibilità del subappalto,
Consiglio di Stato, V, 01 febbraio 2022, n. 689 riforma detta pronuncia del TAR potentino. Si rinvia alla lettura integrale della sentenza, particolarmente densa, anche con riferimento all’istituto del “subappalto qualificante”, in relazione al quale è stata ribadita la sua piena applicabilità.
“Non vi è dubbio alcuno che la prima delle due disposizioni (c. 2 art. 105 n.d.r.) sia in contrasto col diritto e con i principi fondanti dell’Unione, atteso quanto statuito dalla ridetta sentenza della CGUE, Sez. V, 26 settembre 2019, C- 63/18 (in specie dove si legge che: “Occorre ricordare che, durante tutta la procedura, le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare i principi di aggiudicazione degli appalti di cui all’articolo 18 della direttiva 2014/24, tra i quali figurano, in particolare, i principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità (sentenza del 20 settembre 2018, Montte, C-546/16, EU:C:2018:752, punto 38). Orbene, in particolare, come ricordato al punto 30 della presente sentenza, la normativa nazionale di cui al procedimento principale vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico in parola, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore (v., per analogia, sentenza del 5 aprile 2017, Borta, C-298/15, EU:C:2017:266, punti 54 e 55). Ne consegue che, nell’ambito di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, per tutti gli appalti, una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione. Come sottolinea la Commissione, misure meno restrittive sarebbero idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano, al pari di quelle previste dall’articolo 71 della direttiva 2014/24 e richiamate al punto 29 della presente sentenza. D’altronde, come indica il giudice del rinvio, il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese. Pertanto, una restrizione al ricorso del subappalto come quella di cui trattasi nel procedimento principale non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24”).
Sebbene la sentenza riguardi l’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 (norma, quest’ultima, che è stata perciò ritenuta disapplicabile dalla giurisprudenza nazionale successiva al pronunciamento della CGUE: cfr. Cons. Stato, V, 16 gennaio 2020, n. 389; 17 dicembre 2020, n. 8101; 31 maggio 2021, n. 4150; nonché Cons. Stato, VI, 29 luglio 2020, n. 4832 riferita alla norma analoga dell’art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006, oggetto della sentenza della CGUE 27 novembre 2019, in causa C-402/18, pronunciata avendo riguardo alla direttiva n. 2004/18/CE, ma coerente con la sentenza del settembre dello stesso anno), i principi in essa affermati vanno riferiti anche alla norma sopravvenuta dell’art. 1, comma 18, della legge n. 55 del 2019.
Quest’ultima, rendendo obbligatoria l’indicazione del subappalto nel bando di gara, ha però mantenuto un limite generale ed astratto, pur se innalzato al 40%. Essa è quindi, a sua volta, in contrasto con la normativa euro-unitaria perché tale limite opera indipendentemente da qualsivoglia valutazione discrezionale della stazione appaltante.
Per le stesse ragioni va reputata l’incompatibilità col diritto euro-unitario dell’art. 105, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016.
In proposito non si condivide la sentenza di primo grado laddove ha affermato che la disposizione appena citata non viola il diritto europeo, così come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con le dette sentenze in materia di subappalto, “in quanto non costituisce un divieto generalizzato di ricorrere al subappalto oltre una certa percentuale, ma si riferisce a determinate tipologie di lavori speciali, che giustificano la determinazione di una soglia di esperibilità del subappalto”.
In realtà, la disposizione pone un limite aprioristico al subappalto, che sottrae all’amministrazione aggiudicatrice il quantum di discrezionalità che le è riconosciuto come dovuto dalla giurisprudenza sopranazionale, secondo una valutazione da farsi caso per caso, tenuto conto, non della tipologia di lavori astrattamente considerata, bensì delle prestazioni e delle lavorazioni oggetto dello specifico affidamento, nonché delle caratteristiche di quest’ultimo.
La generalità e l’astrattezza di detto limite non sono evitate dal riferimento normativo alle sole opere per le quali siano necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture impianti ed opere speciali, elencate nell’art. 2 del d.m. n. 248 del 10 novembre 2016.
Il riferimento ai lavori di una determinata categoria è connotato comunque da astrattezza perché prescinde dalla natura delle lavorazioni richieste nel caso concreto, escludendo in particolare che, se superano il 10% dell’importo totale dei lavori, l’amministrazione possa optare per la totale assenza di vincoli al subappalto o per l’imposizione di un limite inferiore al 30% delle opere subappaltabili, anche quando, nel contesto del singolo affidamento, esse siano scarsamente significative rispetto alla finalità del divieto di subappalto.
Fermo restando perciò il contrasto con le direttive europee delle disposizioni esaminate, la questione di diritto da risolvere concerne la correttezza dell’operato dell’amministrazione aggiudicatrice e della centrale unica di committenza che hanno predisposto le regole di gara previa disapplicazione degli artt. 1, comma 18, del d.l. n. 32 del 2019, convertito dalla legge n. 55 del 2019, e 105, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016, pur essendo il presente appalto di importo inferiore alla soglia comunitaria.
Orbene, anche a voler escludere che il detto esplicito riferimento sia espressione dell’interesse transfrontaliero attribuito all’affidamento de quo da parte dell’amministrazione aggiudicatrice (cui spetta la relativa valutazione, peraltro soggetta al controllo giurisdizionale: cfr. CGUE, Grande sez., 20 marzo 2018, in causa C-187/16), è dirimente al fine dell’applicazione della richiamata direttiva e del giudizio di compatibilità con la stessa, l’argomento dell’appellante che fa leva sulla procedura concretamente applicata.
Rileva cioè che la stazione appaltante abbia posto le regole dell’affidamento sub iudice seguendo una normativa nazionale che, quanto alla procedura applicabile, non fa alcuna distinzione tra appalti sopra-soglia ed appalti sotto-soglia e finendo quindi per applicare a questi ultimi le disposizioni della normativa europea (come trasposte nella legislazione nazionale, senza fare alcuna differenza sulla base del valore dell’affidamento) anche se ab origine non destinate alla loro regolazione.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea è univocamente nel senso di <<prevedere che quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che apporta a situazioni non disciplinate da un atto dell’Unione, a quelle adottate da tale atto, sussiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni riprese dallo stesso atto ricevano un’interpretazione uniforme. Pertanto, l’interpretazione delle disposizioni di un atto dell’Unione in situazioni non rientranti nell’ambito di applicazione di quest’ultimo si giustifica quando tali disposizioni sono state rese applicabili a siffatte situazioni dal diritto nazionale in modo diretto e incondizionato (sentenza del 5 aprile 2017, Borta, C-298/15, EU:C:2017:266, punti 33 e 34, nonché giurisprudenza ivi citata)>> (così CGUE, sez. IX, 14 febbraio 2019 in causa C-710/17).
Nel caso di specie, l’amministrazione aggiudicatrice ha, come detto, esplicitato la sua intenzione di uniformarsi alle disposizioni della direttiva, come interpretate dalla CGUE, ed ha, inoltre, fatto ricorso alla procedura aperta di cui all’art. 60 del Codice dei contratti pubblici, che costituisce la trasposizione esatta dell’art. 27 della direttiva.
Il ricorso alla procedura aperta, per l’appalto sotto-soglia, è stato basato sull’art. 36 del d.lgs. n. 50 del 2016, che nel testo vigente ratione temporis (essendo il bando di gara del giugno 2020), consentiva, al comma 2, lett. d), di procedere “per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro e fino alle soglie di cui all’art. 35, mediante ricorso alle procedure di cui all’art. 60 […]”.
Orbene, essendosi la normativa nazionale conformata alle regole europee anche per disciplinare gli appalti sotto-soglia, senza distinguere specificamente questi ultimi, in particolare quanto al regime di subappalto applicabile, sussiste un interesse certo sovranazionale all’interpretazione della normativa applicabile conforme alle regole ed ai principi posti dalle direttive.
Ritenuta per tale via la ricorrenza di un interesse transfrontaliero dell’appalto de quo, vanno allora ritenuti applicabili, in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, le norme fondamentali e i principi del Trattato FUE, pur trattandosi di procedura di aggiudicazione di valore inferiore alla soglia comunitaria, rilevando in particolare i principi di parità di trattamento, di funzionalità e di trasparenza (cfr., tra le altre, Corte di Giustizia, 23 dicembre 2009, n. 376/08)”.
A cura di giurisprudenzappalti.it del 01/02/2022 di Elvis Cavalleri
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