Il canone ermeneutico letterale riveste il primato nell’interpretazione delle prescrizioni della disciplina di gara
Gara suddivisa in lotti. Il disciplinare, quale requisito speciale di accesso alla procedura, prevedeva che i concorrenti avessero svolto, nel triennio precedente la gara, forniture analoghe per un importo non inferiore al 50 % del valore complessivo presunto di ciascun lotto per la cui aggiudicazione intendevano concorrere. Precisava altresì che, “qualora il fatturato specifico dichiarato e posseduto del concorrente non sia sufficiente a garantire il rispetto del requisito di cui al presente paragrafo per tutti i lotti per i quali abbia dichiarato l’intenzione di concorrere, sarà ammesso a gara limitatamente ai Lotti per i quali il requisito è soddisfatto, dando priorità ai Lotti di maggior importo”.
La stazione appaltante, nonostante la ricorrente avesse presentato la propria offerta in ordine a vari lotti dichiarando il fatturato pregresso, limitava la partecipazione della concorrente alla procedura concorsuale ad un solo lotto, per la mancanza del possesso del requisito di capacità economico finanziaria richiesto.
La ricorrente impugna il provvedimento, limitatamente all’esclusione disposta con riguardo ad un solo lotto, rispetto al quale, in caso di riammissione, risulterebbe prima in graduatoria.
Tar Campania, Napoli, Sez. V, 22/09/2021, n.5971 accoglie il ricorso:
4.- Tanto chiarito in limine, ad avviso del Collegio, dall’analisi filologica del disposto di cui all’8.2 del Disciplinare di gara, da condurre alla luce dei principi giurisprudenziali ampiamente consolidati in ordine all’esegesi, letterale e teleologica, della lex specialis deputata a disciplinare le procedure ad evidenza pubblica, deve pervenirsi alla condivisione della fondatezza del ricorso.
Nel dettaglio, il formante giurisprudenziale appare ampliamente assestato sul canone interpretativo univoco nell’affermare che “le preminenti esigenze di certezza connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti impongono di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara: ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un’obiettiva incertezza del loro significato letterale”; per cui “secondo la stessa logica, sono comunque preferibili, a garanzia dell’affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale (cfr.: Consiglio di Stato, sez. V, 25/06/2021, n.4863; Cons. Stato, V, 31 marzo 2021, n. 2710; 26 marzo 2020, n. 2130; 29 novembre 2019, n. 8167; 12 settembre 2017, n. 4307).
Il canone ermeneutico letterale riveste, dunque, il primato nell’interpretazione delle prescrizioni connotanti la disciplina di gara, le quali vincolano non solo i concorrenti ma anche la stessa Amministrazione, che non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione, dovendosi garantire, unitamente alle esigenze di certezza, l’imparzialità dell’azione amministrativa e la parità di condizioni tra i concorrenti. Da ciò scaturisce il corollario secondo cui, solo in presenza di un’equivoca formulazione della lettera di invito o del bando di gara, può ammettersi un’interpretazione diversa da quella letterale (cfr.: Consiglio di Stato, sez. V, 25 giugno 2014, n. 3220, 18 dicembre 2017, n. 5944 e 31 maggio 2018, n. 3267).
Non risulta, quindi, possibile addivenire in via interpretativa ad una integrazione delle regole di gara, aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione letterale.
In ogni caso, a fronte di una clausola cui si riconnette una portata escludente ed a fronte del carattere non univoco della disposizione in essa racchiusa, l’interprete deve conformare la propria attività interpretativa al criterio del favor partecipationis, favorendo l’applicazione della disposizione che consenta la massima partecipazione possibile alla procedura (cfr.: T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, 03/12/2020, n.12968; Cons. St., sez. V, 14 aprile 2020 n. 2400).
4.1.- Applicando i menzionati principi all’odierna fattispecie, osserva il Collegio che, consentendo la lex specialis agli offerenti la possibilità di presentare la propria offerta onde concorrere simultaneamente per l’aggiudicazione di diversi lotti, l’art. 8.2., oggetto del contendere, espressamente prevedeva, quale requisito di capacità economica, il possesso di un fatturato specifico “pari ad un importo non inferiore al 50 % del valore complessivo presunto di ciascun lotto per il quale presenta offerta”.
Tuttavia, la medesima disposizione chiariva che, qualora un concorrente non possedesse un fatturato sufficiente a garantire il rispetto del requisito per tutti i lotti oggetto dell’offerta presentata, la stazione appaltante avrebbe disposto la sua ammissione “…. limitatamente ai lotti per i quali il requisito è soddisfatto, dando priorità ai lotti di maggior importo”.
Orbene, il riferito tenore letterale, anche in un’ottica esegetica rispondente al principio del favor partecipationis, non lascia residuare dubbi in ordine alla sua effettiva portata precettiva, che imponeva alla stazione appaltante, qualora il fatturato dichiarato dal partecipante offerente per più lotti non fosse sufficiente ad assicurarne l’ammissione a tutti, di limitare quest’ultima ai soli lotti in ordine ai quali il requisito fosse soddisfatto.
Nel procedere a tale selezione, poi, la stazione appaltante era vincolata a ripartire il fatturato tra i diversi lotti oggetto della domanda di partecipazione secondo un ordine di imputazione del medesimo stabilito sulla base del criterio di priorità per il lotto di valore più elevato e, successivamente, per gli altri lotti, secondo un ordine decrescente, fino all’esaurimento del fatturato.
A cura di giurisprudenzappalti.it del 22/09/2021 di Roberto Donati
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