Il costo medio del lavoro è cosa diversa dai “trattamenti salariali minimi inderogabili”.

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Il Tar Piemonte ribadisce  la differenza tra costo medio orario del lavoro indicato nelle tabelle ministeriale e i trattamenti salariali minimi inderogabili.

Nel respingere ricorso avverso l’esclusione dell’aggiudicataria ( per anomalia dell’offerta) Tar Piemonte, Sez. I, 23/11/2020, n.754 ricorda che:

Sulla differenza tra costo medio orario del lavoro indicato nelle tabelle ministeriale e i trattamenti salariali minimi inderogabili, il Collegio si limita a richiamare quanto sul punto condivisibilmente evidenziato dalla giurisprudenza: “occorre infatti distinguere il concetto di “minimi salariali”, indicati nelle apposite tabelle ministeriali (cd. trattamento retributivo minimo), da quello di “costo orario medio del lavoro” risultante dalle tabelle ministeriali. Soltanto per il primo, in caso di sua violazione, vale la sanzione dell’esclusione dell’offerta stabilita dall’art. 97, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016, in quanto l’offerta che non rispetti i suddetti minimi salariali è considerata ex lege anormalmente bassa. E la diversità dei due concetti si coglie nel fatto che quello di trattamento retributivo minimo ha carattere “originario”, in quanto viene desunto direttamente dal pertinente contratto collettivo nazionale e non abbisogna, per la sua enucleazione, di alcuna operazione di carattere statistico-elaborativo, mentre il concetto di “costo medio orario del lavoro” è il frutto dell’attività di elaborazione del Ministero, che lo desume dall’analisi e dall’aggregazione di dati molteplici e inerenti a molteplici istituti contrattuali (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 21 settembre 2018, n. 5492; T.A.R. Venezia, (Veneto) sez. I, 04/12/2018, n. 1115)” (T.A.R. Calabria-Catanzaro, sez. I, 12 settembre 2020, n. 1448) e “siffatte tabelle – redatte dal Ministero competente – esprimono un costo del lavoro medio, ricostruito su basi statistiche, per cui esse non rappresentano un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia (Consiglio di Stato, V, 6 febbraio 2017, n. 501; altresì, sez. III, 13 marzo 2018, n. 1609; III, 21 luglio 2017 n. 3623; 25 novembre 2016, n. 4989). I costi medi della manodopera, indicati nelle tabelle (ministeriali), del resto, svolgono una funzione indicativa, suscettibile di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali, laddove si riesca, in relazione alle peculiarità dell’organizzazione produttiva, a giustificare la sostenibilità di costi inferiori, fungendo gli stessi da esclusivo parametro di riferimento da cui è possibile discostarsi, in sede di giustificazioni dell’anomalia, sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, II bis, 19 giugno 2018, n. 6869). Ciò che invece non può essere derogato in peius – e non risulta dimostrato essersi verificato nella specie – sono i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale, sui quali non sono ammesse giustificazioni (T.A.R. Aosta, 09.08.2019 n. 44; T.A.R. Veneto, I, 19 luglio 2018, n. 774)” (T.A.R. Lazio-Roma, Sez. I bis, 11 dicembre 2019, n. 14241).

 

A cura di giurisprudenzappalti.it del 23/11/2020 di Roberto Donati

 

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