Il Consiglio di Stato segna un perimetro all’accesso civico generalizzato

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Con la sentenza 6 settembre 2021, n. 6220, sez.III,  il Consiglio di Stato pone la questione  dell’accesso civico generalizzato evidenziando come possa esistere un limite insuperabile alla possibilità di visionare dati  che l’amministrazione non possiede direttamente ,soprattutto nei casi  in cui  dovrebbe approntare un lavoro spropositato per reperirli. 

Partiamo dall’accesso civico generalizzato, disciplinato dall'art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013, che al co. 2 puntualizza : "Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'art. 5-bis" ; tale procedimento consente dunque la possibilità di esposizione di atti/dati in possesso della pubblica amministrazione ai fini della  "conoscenza", ovvero di garantire  la possibilità di avere cognizione dell'azione amministrativa e dell’utilizzo dei soldi pubblici.

I Giudici, nella fattispecie trattata, evidenziano come il perimetro dell'accesso, nello specifico accesso civico generalizzato, resta delimitato alla disponibilità delle informazioni richieste, “dovendosi escludere ogni qualvolta l'Amministrazione debba impegnarsi in attività eccessivamente onerose e paralizzanti dell'ordinaria attività amministrativa, contrarie al principio di buon andamento ed economicità dell'azione amministrativa, per la raccolta di informazioni di cui non dispone direttamente e immediatamente e che, in ogni caso, sono già pubbliche”. 

In conclusione, secondo la sentenza, e come già ampiamente evidenziato  (vd Consiglio di Stato, sez. V, sent. 04/01/2021, n. 60), è data facoltà agli Enti di respingere richieste manifestamente onerose o sproporzionate, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro “ senza nulla aggiungere alle finalità di trasparenza e al diritto all'informazione dei cittadini che rappresentano la ratio dell'art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 33/2016”.

Autore: Redazione TuttoGare del 29/09/2021

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