Distinzione tra concessione di servizi ed appalto di servizi

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La ricorrente chiede  la condanna della stazione appaltante al risarcimento dei danni subiti nel corso della esecuzione del rapporto contrattuale, per essere stata costretta ad erogare le prestazioni richieste in misura inferiore rispetto alle previsioni della lex specialis di gara, con conseguenti e non preventivabili diseconomie.

Il contratto riguardava l’affidamento del servizio di archiviazione e custodia delle cartelle cliniche. La ricorrente  sostiene che, in sede di redazione della disciplina di gara, la stazione appaltante sarebbe venuta meno agli obblighi di correttezza e buona fede ed avrebbe rappresentato una realtà distorta, al punto di ingenerare nell’impresa aggiudicataria la convinzione che avrebbe potuto maturare profitti diversi da quelli realmente conseguiti; in particolare, lamenta di aver elaborato un numero di cartelle cliniche decisamente inferiore rispetto a quello originariamente individuato come parametro orientativo dalla P.A., con conseguente indebito abbattimento dei corrispettivi .

Tar Campania, Napoli, Sez. V, 15/06/2022, n. 4059 respinge il ricorso, ripercorrendo la distinzione tra concessione di servizi ed appalto di servizi:

Il ricorso è infondato.

La risoluzione della controversia discende dall’inquadramento giuridico del rapporto in contestazione che, per le ragioni di seguito illustrate, va qualificato come concessione di servizi devoluta alla giurisdizione esclusiva di questo giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) del c.p.a. (“controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”).

Al riguardo, giova rammentare che il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione da parte del concessionario del c.d. “rischio operativo” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2426/2021): mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sul primo, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione. In altri termini, l’appalto di servizi comporta un corrispettivo che, senza essere l’unico, è versato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre nella concessione di servizi il corrispettivo della prestazione di servizi consiste nel diritto di gestire il servizio, o da solo o accompagnato da un prezzo, e la concessionaria non è direttamente retribuita dalla amministrazione aggiudicatrice ma ha il diritto di riscuotere la remunerazione presso terzi.

Tale indirizzo è, peraltro, coerente con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. Unite, n. 9965/2017), secondo cui la qualificazione di un’operazione come concessione di servizi o come appalto pubblico di servizi va svolta esclusivamente alla luce del diritto dell’Unione Europea. Ebbene, ai fini del diritto dell’Unione, un appalto pubblico di servizi comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi mentre, al contrario, è ravvisabile concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del concessionario di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio, traendo la propria remunerazione dai proventi ricavati dagli utenti, di modo che sul concessionario gravi il rischio legato alla gestione del servizio (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 10 novembre 2011, causa C-348/10; 10 marzo 2011, causa C-274/09; 18 luglio 2007, causa C-382/05; 20 ottobre 2005, causa C-264/03; 18 gennaio 2007, causa C-220/05).

La nozione unionale di concessione di pubblico servizio è stata chiaramente recepita dalle norme di settore che si sono succedute:

– dapprima il D.Lgs. n. 163/2006, art. 3, comma 12, che ha attuato le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, ha stabilito che la “concessione di servizi” è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo;

– in seguito, la lettera vv) del D.Lgs. n. 50/2016, art. 3, di attuazione delle direttive n. 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE, ha definito “concessione di servizi” il “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale uno o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera II) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”.

Nella concessione di servizi è centrale, quindi, l’elemento del “rischio operativo” che sussiste qualora l’aggiudicatario rinvenga il proprio profitto direttamente nei pagamenti ai quali sono tenuti gli utenti dei servizi. Tale nozione si rinviene nella definizione di concessione fornita dall’art. 5 della successiva direttiva n. 2014/23/UE, in cui si legge del rischio “legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o entrambi”, configurabile allorché, “in condizioni normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione”.

Analoga definizione è contenuta nell’art. 3, lett. zz) del D.Lgs. n. 50/2016, laddove per “rischio operativo” si intende “Il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico. Si considera che l’operatore economico assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, per tali intendendosi l’insussistenza di eventi non prevedibili non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita all’operatore economico deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dall’operatore economico non sia puramente nominale o trascurabile”.

Anche la giurisprudenza amministrativa si è adeguata a questa distinzione, rimarcando (tra varie, Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2624/2014) che, quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione per cui si può affermare che è la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi; tanto, che è giunta a ritenere (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 13/2013) che la concessione di servizi presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione, appunto, del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi e di sfruttare economicamente il servizio o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

Nel caso in esame, il servizio affidato a …………… consisteva nell’archiviazione e custodia delle cartelle cliniche ospedaliere e dei referti di Pronto Soccorso, nonché nella consegna di copia di tale documentazione all’utenza. Ai sensi dell’art. 2 del capitolato speciale di appalto, il servizio era svolto in locali messi a disposizione dall’azienda, senza previsione di alcun canone e senza alcun corrispettivo prefissato per il concessionario; detto servizio era remunerato con il pagamento – direttamente effettuato da parte della utenza – del costo della copia delle cartelle cliniche rilasciate (art. 26 del capitolato speciale d’appalto, secondo cui … “L’A.O. affida al Soggetto aggiudicatario la riscossione di quanto dovuto per il rilascio delle copie della documentazione, decidendo però di stabilire le seguenti condizioni inderogabili: 1. devono essere previste le seguenti fasce economiche di rimborso inderogabili: 1. devono essere previste le seguenti fasce economiche di rimborso da parte degli utenti, a seconda del numero di pagine costituenti il documento … il costo del rilascio della singola copia del documento conforme per gli utenti non potrà essere inferiore a euro 10 e superare gli euro 30,00 iva inclusa”); la disciplina di gara escludeva espressamente oneri a carico dell’Azienda Ospedaliera (art. 26 del capitolato speciale d’appalto: “Non è previsto che al Soggetto Aggiudicatario venga riconosciuta direttamente dall’Azienda alcuna somma per l’erogazione dei servizi stabiliti nel presente Capitolato”).

In base a tali previsioni il rischio economico della gestione veniva assunto in via esclusiva dal ………….. e, peraltro, l’erogazione del servizio veniva rivolta, non già in favore dell’amministrazione, ma della collettività degli utenti che frequentava la struttura pubblica e che corrispondeva il corrispettivo dovuto.

Dal predetto inquadramento del rapporto come concessione di servizi discende la conseguente operatività della regola di cui all’art. 165 del D.Lgs. n. 50/2016, secondo cui nei contratti di concessione opera il trasferimento al concessionario del rischio operativo definito dall’articolo 3, comma 1, lettera zz), riferito alla possibilità che, in condizioni operative normali, le variazioni relative ai costi e ai ricavi oggetto della concessione incidano sull’equilibrio del piano economico – finanziario, fermo restando che detto rischio non può subire artificiose modifiche ad opera della stazione appaltante, dovendosi considerare solo il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico.

Al riguardo, si considera che l’operatore economico assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, per tali intendendosi l’insussistenza di eventi non prevedibili, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei servizi oggetto della concessione.

Il rischio di gestione economica del servizio deve essere inteso come esposizione all’alea del mercato, il quale può tradursi nel rischio di concorrenza da parte di altri operatori, di uno squilibrio tra domanda e offerta di servizi, di insolvenza dei soggetti che devono pagare il prezzo dei servizi forniti, di mancata copertura integrale delle spese di gestione mediante le entrate o ancora di responsabilità di un danno legato ad una carenza del servizio (Corte di Giustizia UE, 27 ottobre 2005, causa C-234/03; T.A.R. Calabria, n. 1600/2017).

Alla luce delle richiamate considerazioni, nella fattispecie in scrutinio l’operatore non può lamentarsi dello squilibrio sinallagmatico e della insoddisfacente redditività del servizio; invero, l’esistenza di un concreto rischio operativo era ben desumibile dalla disciplina di gara (art. 2 del capitolato speciale), laddove si chiariva la natura meramente presuntiva del fabbisogno stimato (rapportato ai quantitativi previsti per l’anno 2007, stimati in circa 35.000 cartelle cliniche, con stima similare per gli anni successivi) che avrebbe potuto subire “variazioni in relazione all’andamento reale dei ricoveri, dei servizi erogati e delle politiche sanitarie”.

Analoga precisazione era contenuta nella lettera di invito (art. 1, oggetto della fornitura) che chiariva quanto segue: “le quantità riportate nel capitolato rappresentano il fabbisogno presunto; pertanto esse non sono impegnative, quindi la Ditta è tenuta ad effettuare la prestazione corrispondente al reale fabbisogno della A.O., sia in aumento che in diminuzione”.

Non può essere accordato rilievo preminente alla indicazione contenuta nel capitolato speciale d’appalto circa il numero di cartelle cliniche (n. 35.000) del 2007 che, per espressa previsione, costituiva un parametro orientativo, potendo subire variazioni in relazione all’andamento reale dei ricoveri, dei servizi erogati e delle prestazioni sanitarie (art. 26 capitolato speciale d’appalto).

Al riguardo, è stato chiarito in giurisprudenza che l’esatto computo del valore del contratto assume rilevanza per garantire condizioni di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione ex art. 2 del D.Lgs. n. 163/2006 e art. 4 del D.Lgs. n. 50/2016 che si traducono nell’informare correttamente il mercato di riferimento sulle complessive e reali condizioni di gara (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4343/2016; Sez. V, n. 748/2017; deliberazione AVCP n. 40 del 19 dicembre 2013), con la precisazione che tale valore non può essere computato con riferimento al costo o canone della concessione, ma deve essere calcolato sulla base del fatturato generato dal consumo dei prodotti da parte degli utenti del servizio.

Nella presente fattispecie, da un lato l’amministrazione ha stimato il volume dei ricavi che il servizio avrebbe potuto generare, allo scopo di orientare gli operatori economici circa la dimensione economica del servizio da affidare, fornendo una stima orientativa, dall’altro l’operatore era reso espressamente edotto che l’effettiva remuneratività del servizio dipendeva dal flusso di accesso degli utenti e dalle relative richieste di copie delle cartelle cliniche; ovviamente, resta impregiudicato che, in ogni caso, il rischio di cui il concessionario è portatore discende anche dalle scelte imprenditoriali in merito all’organizzazione dei mezzi e delle modalità di offerta del servizio, in quanto capaci di orientare la domanda e di condizionare, almeno in una certa misura, i fattori esogeni (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2926/2017). Va in ogni caso chiarito che la previa stima approssimativa del fatturato compiuta dalla stazione appaltante non può ritenersi idonea a neutralizzare l’alea imprenditoriale (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2926/2017) e a trasferire il rischio di impresa dal concessionario all’amministrazione appaltante, stravolgendo l’oggetto specifico della concessione di servizi, contraddistinto, come visto, dall’assunzione di un rischio operativo da parte del concessionario.

Dalle considerazioni illustrate discende che, sulla base della disciplina di gara, l’operatore ricorrente è stato messo in condizioni di formulare consapevolmente la propria offerta, in quanto edotto sulla natura meramente indicativa del fatturato riferito a precedenti annualità; pertanto, alcuna responsabilità a titolo di responsabilità precontrattuale può essere imputata all’amministrazione per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. nella predisposizione della disciplina di gara, peraltro non tempestivamente impugnata (con conseguente preclusione delle censure riferite alla presunta vessatorietà delle clausole contrattuali) e, pertanto, non ritenuta preclusiva della possibilità di formulare un’offerta in sede di gara.

A cura di giurisprudenzappalti.it del 15/06/2022 di Roberto Donati

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