Anche la risoluzione consensuale rientra nel perimetro degli obblighi dichiarativi!

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La stazione appaltante esclude l’aggiudicataria, in applicazione dell’ art. 80, comma 5, lettera c-ter) del Codice, per non avere dichiarato una precedente risoluzione consensuale con altro Comune del contratto di appalto per il medesimo tipo di servizio.

Secondo la stazione appaltante la risoluzione consensuale disposta dal Comune, per quanto consensuale tra le parti, era comunque conseguenza di un inadempimento contrattuale e di fatto palesava un illecito professionale.

Per cui la sua omessa dichiarazione si può ricondurre alla volontà di non portare conoscenza della stazione appaltante una fattispecie riconducibile all’art. 80, comma 5, lettera c-ter), del codice dei contratti pubblici. La stazione appaltante ha quindi ritenuto che, dalla disamina degli atti del procedimento la risoluzione, per quanto formalmente qualificata consensuale, di fatto derivava dall’accertato inadempimento contrattuale dell’appaltatore su quanto oggetto di gara e che si poteva considerare che la risoluzione consensuale fosse stata sottoscritta solo per impedire l’accertamento giudiziale circa la legittimità o meno della risoluzione stessa.

Il Tar respinge il ricorso avverso l’esclusione.

Consiglio di Stato, Sez. IV, 05/09/2022, n. 7709 respinge l’appello evidenziando come nel perimetro degli obblighi dichiarativi rientri  anche una precedente risoluzione consensuale intervenuta con altra stazione appaltante se la stessa sia dipesa da una condotta astrattamente idonea a fare dubitare dell’integrità ed affidabilità dell’operatore economico in vista dell’affidamento dell’appalto:

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza 28 agosto 2020, n. 16, trattando degli obblighi dichiarativi al momento della partecipazione a una procedura di gara, ha chiarito che si tratta di “obbligo il cui assolvimento è necessario perché la competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento giustifica invece l’esclusione”, precisando che “l’obbligo dovrebbe essere previsto a livello normativo o dell’amministrazione, attraverso le norme speciali regolatrici della gara. Nondimeno, (…) deve darsi atto che è consolidato presso la giurisprudenza il convincimento secondo cui l’art. 80, comma 5, lettera c), ora lett. c-bis), è una norma di chiusura in grado di comprendere tutti i fatti anche non predeterminabili ex ante, ma in concreto comunque incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico, donde il carattere esemplificativo delle ipotesi previste nelle linee guida emanate in materia dall’ANAC, ai sensi del comma 13 del medesimo art. 80”.

14. Il Collegio ritiene che non possa essere data una lettura formalistica del contenuto della lettera c-ter), se non a costo di pregiudicare il ruolo infungibile dell’amministrazione nella valutazione dell’affidabilità dei concorrenti.

Il Collegio ritiene, al contrario, di dovere aderire alle diverse conclusioni rassegnate in materia dalla più recente giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4708 del 2022; similmente, Cons. Stato, sez. V, n. 2922 del 2021).

L’art. 1372 c.c. prevede che il contratto ha forza di legge tra le parti e “non può essere sciolto che per mutuo consenso”.

Il mutuo dissenso costituisce non un “contro-negozio” ma una forma di risoluzione contrattuale basata su una scelta di autonomia negoziale delle parti. La fattispecie in esame si caratterizza per il fatto che le parti possono decidere di caducare il vincolo contrattuale per qualunque ragione. Nell’ambito applicativo della disposizione può, pertanto, rientrare, tra l’altro, sia la libera volontà di non proseguire la fase esecutiva del rapporto negoziale sia la sussistenza di una causa di inadempimento del contratto.

Nel perimetro degli obblighi dichiarativi rientra, pertanto, anche una precedente risoluzione consensuale intervenuta con altra stazione appaltante in fase di esecuzione di una procedura di gara quante volte la stessa sia dipesa da una condotta astrattamente idonea a fare dubitare dell’integrità ed affidabilità dell’operatore economico in vista dell’affidamento dell’appalto.

Occorre aderire a una lettura sostanzialista delle cause di esclusione, che non sia circoscritta al mero nomen iuris.

Lo scioglimento dal contratto è certo frutto di un accordo – e non invece di un provvedimento unilaterale dell’amministrazione – ma potrebbe essere pur sempre dovuto ad un precedente inadempimento dell’appaltatore; tale inadempimento costituisce pregressa vicenda professionale della quale la stazione appaltante deve essere edotta poiché suscettibile di far dubitare dell’affidabilità ed integrità del concorrente (Cons. Stato, sez. V, n. 4708 del 2022).

Come già precisato in giurisprudenza in relazione all’obbligo dichiarativo di precedente provvedimento di esclusione da altra procedura di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 settembre 2021, n. 6407), viene comunque in luce il fatto storico in sé, con le sue connotazioni specifiche per le quali si è giunti alla risoluzione consensuale in fase di esecuzione, mentre non può essere riconosciuto un rilievo esclusivo alla tipologia di atto negoziale o provvedimento amministrativo che ne sia seguito (in tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 dicembre 2020, n. 8211, in particolare par. 7.3); ciò proprio in ragione della necessità che ogni episodio professionale critico del concorrente sia autonomamente apprezzato da ciascuna stazione appaltante.

La garanzia per i concorrenti, al fine di evitare che il rilievo sostanzialista dell’inadempimento al di là della qualificazione della risoluzione o scioglimento del precedente contratto, trasmodi in arbitrio dell’amministrazione aggiudicatrice, risiede nell’obbligo di motivazione in capo alla stazione appaltante, che è formalmente rispettato se l’atto reca l’esternazione del percorso logico-giuridico seguito dall’amministrazione per giungere alla decisione adottata e il destinatario sia in grado di comprendere le ragioni di quest’ultimo e, conseguentemente, di utilmente accedere alla tutela giurisdizionale (così, Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 2020, n. 4668; sez. V, n. 2922 del 2021).

15. Nel caso di specie, indipendentemente dalla causa specifica che ha condotto alla risoluzione consensuale del contratto tra la società ……… e il Comune di ……….. (………), non si è a tutta evidenza trattato di una risoluzione per impossibilità sopravvenuta ma, dopo che il Comune aveva in un primo momento qualificato la fattispecie come inadempimento, si è infine pervenuti, su proposta della società, a una risoluzione consensuale ai sensi dell’art. 1372, primo comma, c.c.) alla cui base permane comunque il fatto storico del mancato adempimento agli obblighi contratti con la stipula del contratto di appalto da parte della società appellante.

Non si può negare il potere dell’amministrazione aggiudicatrice di qualificare tale fatto storico, riconducendo alla fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lettera c-ter), la condotta dell’operatore economico nei confronti di altro Comune.

Né può ragionevolmente sostenersi che l’operatore abbia omesso di indicare al Comune di ……..il precedente della risoluzione intercorsa con il Comune di …….., per non avere ritenuto tale elemento informativo meritevole di segnalazione, viste le informazioni inserite nel D.G.U.E., nella sezione C – Capacità tecniche e professionali (Articolo 83, comma 1, lett. c) D.Lgs. 50/2016) in cui aveva riportato ed evidenziato alla data di scadenza di presentazione delle offerte il contratto sottoscritto con il Comune di ……. con scadenza al ……, con il relativo importo, tra i requisiti di partecipazione contemplati nel disciplinare di gara al punto 7.3 “Requisiti di capacità tecnica e professionale – lettera a) Esecuzione negli ultimi tre anni dei seguenti servizi/forniture analoghi”.

16.In definitiva, per le ragioni esposte nessuno dei motivi dedotti può essere accolto.

A cura di giurisprudenzappalti.it del 05//09/2022 di Roberto Donati

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