Richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art.353 c.p.: per disporre l’esclusione la stazione appaltante è comunque tenuta ad attivare il contraddittorio procedimentale

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La migliore offerta, a seguito della verifica sul possesso dei requisiti, viene esclusa. Infatti, essendo emerso dal certificato dei carichi pendenti che nei confronti del legale rappresentante della società era stato chiesto il rinvio a giudizio per il reato di cui all’art. 353 c.p (turbata libertà degli incanti), la stazione appaltante ha disposto l’esclusione della concorrente dalla procedura.

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Il ricorso avverso l’esclusione contesta come la stazione appaltante abbia ritenuto erroneamente che ricorresse un’ipotesi di esclusione automatica dalla procedura, mentre, venendo in rilievo un’ipotesi di esclusione non automatica (come si desume dall’art. 95, primo comma, del decreto legislativo n. 36/2023 e dal rinvio ivi contenuto all’art. 98), la relativa valutazione doveva essere effettuata in contraddittorio (sul punto, cfr. il parere ANAC n. 45 in data 20 settembre 2022 e Consiglio di Stato, V, 5 dicembre 2022, n. 10622). Per cui il provvedimento di esclusione avrebbe dovuto essere adeguatamente motivato, secondo quanto disposto dall’art. 98, settimo e ottavo comma, del decreto legislativo n. 36/2023, e avrebbe dovuto essere adottato all’esito di una compiuta ed esaustiva istruttoria.

Tar Sicilia, Catania, Sez. II, 07/10/2024, n. 3300, accoglie il ricorso:

Il ricorso, nei termini di seguito precisati, appare manifestamente fondato, sicché la causa può essere definita con sentenza ai sensi dell’art. 60 c.p.a., essendo trascorsi almeno dieci giorni dall’ultima notificazione del gravame, non essendovi necessità di integrare il contraddittorio, risultando completa l’istruttoria e non avendo alcuna delle parti dichiarato di voler proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza o di giurisdizione.

Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.

L’art. 95, primo comma, lettera e), del decreto legislativo n. 36/2023 stabilisce che: a) la stazione appaltante esclude dalla partecipazione alla procedura un operatore economico qualora accerti che l’offerente abbia commesso un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, dimostrato dalla stazione appaltante con mezzi adeguati; b) all’art. 98 sono indicati, in modo tassativo, i gravi illeciti professionali, nonché i mezzi adeguati a dimostrare i medesimi.

L’art. 98, secondo comma, dispone che l’esclusione di un operatore economico ai sensi dell’art. 95, primo comma, lettera e), è disposta dalla stazione appaltante quando ricorrono tutte le seguenti condizioni: a) elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale; b) idoneità del grave illecito professionale ad incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore; c) adeguati mezzi di prova di cui al comma 6.

Il sesto comma dell’art. 98 dispone che costituiscono mezzi di prova adeguati – in relazione al terzo comma, lettera g) – gli atti di cui all’art. 407-bis, primo comma, c.p.p., il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p. o eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale, la sentenza di condanna non definitiva, il decreto penale di condanna non irrevocabile, la sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p.

L’art. 407-bis, primo comma, c.p.p. menziona l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, sicché la richiesta di rinvio a giudizio risulta, secondo quanto espressamente stabilito dal legislatore, un mezzo di prova in linea di principio adeguato ai fini della dimostrazione della commissione del grave illecito professionale.

Il provvedimento impugnato fa riferimento all’art. 98 del decreto legislativo n. 36/2023, il quale consente alla stazione appaltante di disporre l’esclusione – terzo comma, lettera g) – per grave illecito professionale in caso di contestata commissione da parte dell’operatore economico, ovvero dei soggetti di cui all’art. 94, terzo comma, di taluno dei reati consumati o tentati di cui al citato art. 94, primo comma.

L’art. 98, settimo comma, impone alla stazione appaltante di valutare i provvedimenti sanzionatori e giurisdizionali di cui al sesto comma motivando sulla ritenuta idoneità dei medesimi a incidere sull’affidabilità e sull’integrità dell’offerente, precisando che l’eventuale impugnazione dei medesimi è considerata nell’ambito della valutazione volta a verificare la sussistenza della causa escludente.

Può prescindersi in questa sede dal rilievo che la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero non è, in effetti, un provvedimento giurisdizionale o sanzionatorio, essendo comunque chiaro l’intento del legislatore, posto che, a prescindere da eventuali improprietà del lessico normativo, la richiesta di rinvio a giudizio rileva ai sensi del citato art. 98, sesto comma, e, quindi, costituisce un mezzo di prova in linea di principio adeguato, il quale deve essere, infatti, valutato dalla stazione appaltante ai sensi del successivo settimo comma (anche perché esso costituisce un minus rispetto alla sentenza di condanna non definitiva).

Il secondo comma dell’art. 98 stabilisce che il provvedimento di esclusione debba essere motivato in relazione a tutte le condizioni di cui al secondo comma: a) elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale; b) idoneità del grave illecito professionale ad incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore; c) adeguati mezzi di prova di cui al sesto comma.

Al riguardo nel provvedimento impugnato si afferma, in sostanza, quanto segue: a) la richiesta di rinvio a giudizio segue l’avviso di conclusione delle indagini preliminari; b) è stato contestato un reato che incide negativamente sul requisito soggettivo dell’integrità e dell’affidabilità professionale; c) la richiesta di rinvio a giudizio, unitamente alla misura cautelare adottata nei confronti di funzionari pubblici soggetti alla medesima indagine, costituiscono fatti specifici che fanno venir meno la fiducia e l’affidabilità dell’operatore economico.

La decisione assunta risulta, quindi, motivata, mentre altra questione è se tale motivazione sia corretta e condivisibile nel merito (posto che la motivazione, nella specifica prospettiva qui in esame, costituisce un requisito di “forma” del provvedimento, mentre l’erroneità della motivazione – e la conseguente erroneità del provvedimento – costituisce un vizio di natura “sostanziale”).

Tuttavia, le decisioni amministrative e le relative motivazioni rese a supporto presuppongono un ulteriore requisito procedimentale, cioè che esse siano l’esito di una compiuta ed esaustiva istruttoria.

Con riferimento alla specifica fattispecie in esame il legislatore ha, invero, escluso ogni forma di automatismo fra i provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria (ancorché di natura non giurisdizionale) e le determinazioni della stazione appaltante, con la conseguenza che, come più volte affermato dalla giurisprudenza (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, V, 19 agosto 2024, n. 3858), l’Amministrazione, nel disporre l’esclusione da una procedura di affidamento per grave illecito professionale, è tenuta ad attivare il contraddittorio procedimentale, all’esito del quale possono in ipotesi emergere circostanze tali da indurre l’Amministrazione medesima a non condividere la valutazione – preliminare, sotto un profilo processuale – del pubblico ministero.

Il ricorso, pertanto, appare fondato sotto tale specifico aspetto.

Deve anche aggiungersi, quanto al merito della questione, come sia pacifico che nessuna misura cautelare sia stata adottata nei confronti del legale rappresentante della società.

Per quanto attiene all’omessa dichiarazione della società sull’intervenuta richiesta di rinvio a giudizio, non occorre indagare se il Comune abbia, in ipotesi, reso in sede di giudizio un’integrazione postuma della motivazione o abbia inteso fornire prova che il provvedimento non avrebbe potuto avere diverso contenuto, con conseguente applicazione dell’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241/1990.

La richiesta di rinvio a giudizio, infatti, è stata notificata al legale rappresentante della società in data 29 luglio 2024 (documento n. 2 allegato al ricorso; n. 003 nella numerazione del sistema NSIGA), cioè dopo l’adozione del provvedimento del Comune di ………… del 26 luglio 2024.

Il Comune, tuttavia, sembra fare più esattamente riferimento, non all’omessa dichiarazione relativa alla richiesta di rinvio a giudizio, ma all’omissione relativa all’esistenza di un’indagine penale (prodromica, in effetti, rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio).

Al riguardo va, però, osservato che la pendenza di indagini preliminari – comprensibilmente – non costituisce un’ipotesi che rileva ai fini degli obblighi dichiarativi dell’operatore economico e che, comunque, in linea di principio l’indagato non è edotto dell’esistenza di indagini a suo carico, salvo che sia intervenuto un atto garantito, ovvero sia stato invitato a presentarsi per l’interrogatorio o abbia ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari (circostanze di cui non si ha contezza in questa sede e che neppure sono state chiarite nella fase procedimentale).

A cura di giurisprudenzappalti.it del 07/10/2024 di Roberto Donati

 

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