“Piena conoscenza” dell’atto lesivo
Il Tar Puglia ricorda come, secondo la giurisprudenza ampiamente consolidata, la “piena conoscenza” dell’atto lesivo non debba essere intesa come cognizione “piena ed integrale” dei provvedimenti che si intendono impugnare. E’ infatti sufficiente la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo.
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SCARICA GRATIS LA GUIDAQuesto quanto ribadito da Tar Puglia, Lecce, Sez. II, 17/09/2024, n. 1017 (che dichiara irricevibile il ricorso):
4. Così ricostruito il quadro fattuale di riferimento, anzitutto va esaminata, in via pregiudiziale, l’eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività. L’impugnazione, infatti, sarebbe stata proposta una volta decorso irrimediabilmente il termine di decadenza di cui all’art. 29 c.p.a., il cui dies a quoandrebbe individuato nella data del 04.09.2023 (momento in cui la ricorrente ha avuto la “piena conoscenza”dell’atto lesivo).
4.1. Il Collegio ritiene l’eccezione fondata nei termini che di seguito si precisano.
Com’è noto, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a., la “piena conoscenza” fa comunque decorrere il termine perentorio di impugnazione di cui al precedente art. 29 del codice del processo amministrativo.
Per quanto qui rileva, va evidenziato come, secondo la giurisprudenza ampiamente consolidata, formatasi proprio dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, la “piena conoscenza” dell’atto lesivo non deve essere intesa come cognizione “piena ed integrale” dei provvedimenti che si intendono impugnare, nonché degli eventuali atti endoprocedimentali i cui vizi inficino, in via derivata, il provvedimento finale.
Invero, affinché sia integrato il predetto presupposto – il cui verificarsi determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale – è sufficiente la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo (in particolare, degli estremi dell’atto e della data, dell’autorità emanante, del dispositivo e dell’esistenza di almeno un eventuale controinteressato) e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità e la concretezza dell’interesse ad agire contro di esso (ex multis cfr. Consiglio di Stato sez. II, 05/04/2024, (ud. 05/03/2024, dep. 05/04/2024), n. 3147; T.A.R. Salerno, (Campania) sez. II, 03/06/2024, (ud. 30/04/2024, dep. 03/06/2024), n. 1190; Consiglio di Stato sez. IV, 27/06/2023, (ud. 13/04/2023, dep. 27/06/2023), n. 6269).
D’altra parte, mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto (così determinando quella “piena conoscenza” di cui all’art. 41, comma 2, c.p.a.), la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti endoprocedimentali) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione (dunque, sulla causa petendi) e giustifica la previsione dell’istituto dei “motivi aggiunti” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 07.02.2020, n. 962; Id., V, 24.01.2020 n. 603; CGARS, 28.04.2022, n. 543).
È proprio in virtù di tale ultimo istituto, disciplinato dall’art. 43 del c.p.a., che il ricorrente può proporre ulteriori censure derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento della proposizione del ricorso, ma ignoti) o dalla conoscenza integrale degli atti (ivi incluso il provvedimento impugnato) prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta. In sostanza, è evidente come la previsione dell’istituto dei motivi aggiunti comprovi la fondatezza dell’interpretazione, resa dalla giurisprudenza e da questo Collegio, della “piena conoscenza” dell’atto oggetto di impugnazione.
Più precisamente, laddove per “piena conoscenza” si dovesse intendere la “conoscenza integrale” del provvedimento impugnato, il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti sarebbe privato della sua stessa ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato, al più, residuale, ricorrendone l’esperibilità (forse) solo nel caso di atto endoprocedimentale completamente ignoto al momento della proposizione del ricorso introduttivo. Se così fosse, infatti, il termine decadenziale dovrebbe decorrere una sola volta, individuando come dies a quo, appunto, il giorno di “integrale” conoscenza di tutti gli atti lesivi. Dunque, emerge chiaramente come una tale interpretazione sarebbe consentita solo in assenza della previsione dello strumento dei motivi aggiunti poiché, altrimenti opinando, si produrrebbe un vulnus per il diritto all’effettività della tutela giurisdizionale (art 24 Cost.; art 1 c.p.a.), essendo il ricorrente costretto a proporre una c.d. “impugnazione al buio”.
Al contrario, la previsione dei c.d. motivi aggiunti (propri e impropri) comprova ex se che la piena conoscenza indicata dal legislatore – come determinatrice del dies a quo della decorrenza del termine di proposizione del ricorso giurisdizionale -, non può che essere intesa come quella che consente all’interessato di percepire la lesività dell’atto emanato dall’amministrazione, e che quindi rende pienamente ammissibile – quanto alla sussistenza dell’interesse ad agire – l’azione giurisdizionale.
D’altra parte, come già sottolineato a più riprese dalla giurisprudenza amministrativa, ogni aspetto che attiene al contenuto del provvedimento finale, ritenuto lesivo, ovvero di atti endoprocedimentali ritenuti illegittimi, incide sui profili di legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, e quindi sui presupposti argomentativi della domanda di annullamento. Nondimeno, come si è detto, la possibilità di sottoporre al giudicante ulteriori motivi di doglianza tesi a fondare e/o rafforzare la domanda di annullamento non è preclusa dall’ordinamento, proprio per il tramite del citato strumento tipizzato dall’art. 43 del codice del processo amministrativo.
In sintesi, l’interpretazione fornita dal Collegio alla locuzione “piena conoscenza”, alla luce della disamina del codice del processo amministrativo e dello strumento di tutela dei motivi aggiunti, rende compatibili il diritto all’effettività e immediatezza della tutela giurisdizionale e l’interesse pubblico alla certezza e stabilizzazione delle situazioni giuridiche come conformate dall’esercizio del potere amministrativo, funzionalizzato appunto alla cura dell’interesse pubblico primario.
Ciò posto, prima di calare i suddetti principi nel caso di specie, giova rammentare che la prova della “piena conoscenza” può essere assolta mediante il ricorso a presunzioni semplici (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 3825/2016; n. 6086/2022), basate anche sul lungo decorso del tempo trascorso tra il rilascio del titolo abilitativo e l’impugnativa giurisdizionale (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1135/2016; n. 1761/2022; n. 7978/2022; T.A.R. Salerno, (Campania) sez. II, 03/06/2024, (ud. 30/04/2024, dep. 03/06/2024), n. 1190).
Inoltre, il Collegio ritiene di dover rammentare in questa sede che la richiesta tardiva di accesso non può determinare il differimento del termine per agire in giudizio atteso che, per tal via, surrettiziamente, si prolungherebbe sine die, e comunque secondo le esclusive esigenze del ricorrente, il tempo di una azione giurisdizionale, in palese violazione del principio di auto-responsabilità e dei doveri di correttezza e buona fede. Opinando diversamente, infatti, si correrebbe il rischio di rimettere l’individuazione del suddetto dies a quo all’arbitrio del ricorrente – il quale potrebbe esercitare il diritto di accesso anche ad una considerevole distanza temporale dalla conoscenza dell’esistenza e della lesività del provvedimento -, con evidente abuso del processo e determinando una chiara lesione dell’interesse pubblico alla certezza e stabilizzazione delle situazioni giuridiche.
A cura di giurisprudenzappalti.it del 17/09/2024 di Roberto Donati
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