Impresa cooptata o impresa mandante?
La ricorrente si duole del fatto che l’aggiudicataria avrebbe fatto impropriamente ricorso alla cooptazione al fine di eludere la disciplina inderogabile in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica.
L’impresa cooptata, infatti, risulta qualificata nell’ambito delle categorie richieste dal bando, per cui questo avrebbe imposto la partecipazione quale mandante del raggruppamento.
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SCARICA GRATIS LA GUIDATar Umbria, Sez. I, 13/03/2023, n. 146 respinge il ricorso:
14 – Con riguardo al terzo motivo di ricorso, devono farsi le seguenti osservazioni.
14.1. – La ricorrente si duole del fatto che l’aggiudicataria avrebbe fatto impropriamente ricorso alla cooptazione al fine di eludere la disciplina inderogabile in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica e trae questa conclusione dalla circostanza che la cooptata xxxx, sebbene in misura parziale (per due delle tre categorie di qualificazione richieste dalla lex specialis), è qualificata nell’ambito delle categorie richieste dal bando, ciò che ne avrebbe imposto la partecipazione quale mandante del raggruppamento, con conseguente violazione del divieto di commistione tra gli istituti del raggruppamento temporaneo di imprese e della cooptazione.
14.2. – L’art. 92, c. 5, del D.P.R. n. 207/2010 (applicabile anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, ai sensi dell’art. 216, c. 14, del medesimo decreto), stabilisce che «[s]e il singolo concorrente o i concorrenti che intendano riunirsi in raggruppamento temporaneo hanno i requisiti di cui al presente articolo, possono raggruppare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati».
La disposizione, dunque, condiziona il legittimo ricorso alla c.d. “cooptazione” al fatto che i lavori eseguiti dalle imprese cooptande «non superino il venti per cento dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati».
Dal tenore letterale della disposizione emerge come l’impresa cooptata non sia tenuta a dimostrare il possesso dei requisiti specifici richiesti dal bando, purché detti requisiti siano posseduti dalle altre imprese riunite (o dall’altra impresa che promuova il raggruppamento) e purché l’impresa cooptata possegga una qualificazione di importo pari all’ammontare complessivo dei lavori affidati. La disposizione è finalizzata a permettere che le imprese minori abbiano l’opportunità di maturare capacità tecniche ulteriori a quelle già possedute, rimanendo salvo l’interesse della stazione appaltante alla corretta esecuzione dell’appalto (cfr. CGARS, 8 febbraio 2017, n. 37).
14.3. – Secondo consolidato orientamento della giurisprudenza, il soggetto cooptato:
– non può acquistare lo status di concorrente;
– non può acquistare alcuna quota di partecipazione all’appalto;
– non può rivestire la posizione di offerente, prima, e di contraente, poi;
– non può prestare garanzie, al pari di un concorrente o di un contraente;
– non può, in alcun modo, subappaltare o affidare a terzi una quota dei lavori da eseguire.
Pertanto:
– in positivo, è richiesto che il ricorso alla cooptazione scaturisca da una dichiarazione espressa e inequivoca del concorrente, per evitare che un uso improprio della stessa consenta l’elusione della disciplina inderogabile in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica;
– in negativo, è richiesto che la società asseritamente cooptata non abbia tenuto un comportamento tale da manifestare la volontà, oltre che di eseguire lavori, anche di impegnarsi direttamente nei confronti della amministrazione appaltante al pari di una sostanziale associata (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. I, 22 maggio 2020, n. 1125; Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2018, n. 6636 e precedenti ivi citati).
14.4. – Tutto ciò premesso, dagli atti del presente giudizio emerge che:
– la cooptante (yyyy) è in possesso delle iscrizioni e dei requisiti di qualificazione necessari per soddisfare i criteri di selezione (come da DGUE di yyyy, non oggetto di censure), con la conseguenza che la cooptata non assume il ruolo né di offerente né di contraente nei confronti della stazione appaltante;
– la dichiarazione dell’intenzione di raggruppare in cooptazione xxxx è inequivocabilmente formulata nel documento denominato “Dichiarazione di cooptazione”, nel quale yyyy dichiara l’intenzione di affidare xxxx. «una percentuale di lavori pari al 20% dell’importo complessivo dei lavori di cui trattasi»;
– l’impresa cooptata «è in possesso di idonea qualificazione SOA di superiore all’importo dei lavori che le saranno affidati» (cfr. “Dichiarazione di cooptazione”), circostanza non contestata dalla ricorrente, che anzi si duole proprio del fatto che la cooptata «poss[iede] autonoma qualificazione per concorrere (sia pur in RTP) alla procedura», mentre, secondo la ricorrente, la cooptazione sarebbe «ammissibile tutte le volte in cui l’impresa cooptata non sia qualificata per le categorie e gli importi richiesti dal bando».
14.5. – La tesi della ricorrente da ultimo richiamata non trova alcun riscontro nelle succitate disposizioni di cui all’art. 92, c. 5, D.P.R. n. 207/2010.
Anzi, al di là delle generiche doglianze secondo le quali yyyy avrebbe fatto un uso improprio della cooptazione al fine di eludere la disciplina inderogabile in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica – che per essere prese in considerazione richiederebbero lo svolgimento di un inammissibile processo alle intenzioni dell’operatore economico concorrente – la società ricorrente non fornisce alcuna allegazione circa la violazione delle condizioni per il ricorso alla cooptazione previste dal citato art. 92, c. 5, del D.P.R. n. 207/2010.
14.6. – Il terzo motivo di ricorso è pertanto infondato.
A cura di giurisprudenzappalti.it del 13/03/2023 di Roberto Donati
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