Le disposizioni in materia di C.A.M. costituiscono obblighi immediatamente cogenti per le stazioni appaltanti

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Il Consiglio di Stato, accogliendo l’appello, ribadisce come le disposizioni in materia di C.A.M., lungi dal risolversi in mere norme programmatiche, costituiscono in realtà obblighi immediatamente cogenti per le stazioni appaltanti.

Ecco la decisione di Consiglio di Stato, Sez. III, 14/10/2022, n. 8773:

ll T.A.R. ha ritenuto il ricorso di primo grado inammissibile sia perché la ricorrente non ha impugnato subito il bando, poi contestato dopo l’esito della gara; sia perché la ricorrente, quarta graduata, non ha “svolto censura alcuna avverso il posizionamento in graduatoria di ciascuno degli operatori economici che la precedono con rango potiore nella graduatoria finale” (in realtà, come si specificherà ulteriormente, il ricorso mira alla riedizione dell’intera gara).

L’impugnata sentenza del giudice di primo grado però non afferma che la clausola contestata fosse escludente, né che impedisse di formulare l’offerta: queste essendo le uniche due categorie di clausole che la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, a seguito della richiamata sentenza dell’Adunanza plenaria, grava dell’onere di immediata impugnazione.

Pertanto, non può essere condivisa l’affermazione contenuta nella sentenza del T.A.R. secondo la quale “A tal riguardo è la stessa ricorrente a precisare nei propri scritti difensivi che “l’omesso rispetto dei CAM per il servizio posto in affidamento non ha integrato una condizione direttamente impeditiva per la partecipazione alla gara, non ne ha precluso l’utile partecipazione, né l’omesso rispetto dei CAM ha reso impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla procedura”, dando prova testuale del tenore evidentemente contraddittorio delle proprie contestazioni”.

La difesa della ricorrente in primo grado in realtà non è affatto contraddittoria, perché elenca la non sussistenza, nel caso di specie, delle condizioni che, secondo la Plenaria, avrebbero imposto/consentito l’impugnazione immediata del bando: anzi, la prospettazione della ricorrente in primo grado risulta – a differenza delle conclusioni tratte dalla sentenza gravata – coerente ai princìpi di diritto enunciati dalla Plenaria.

Se poi si scende dal piano dei princìpi alla materia specificamente attinente l’oggetto delle clausole in questione, va rimarcato che in forza di uno stabile indirizzo giurisprudenziale, che il Collegio condivide, la non conformità della legge di gara agli articoli 34 e 71 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, in tema di criteri ambientali minimi (C.A.M.) non è vizio tale da imporre un’immediata e tempestiva impugnazione del bando di gara, non ricadendosi nei casi eccezionali di clausole escludenti o impeditive che, sole, consentono l’immediata impugnazione della lex specialis di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2021, n. 972).

Conseguentemente, la partecipazione alla gara in un’ipotesi del genere non può considerarsi acquiescenza alle regole di gara, essendo l’impugnazione proponibile solo all’esito della procedura e avverso l’aggiudicazione, senza che ciò possa qualificarsi come un venire contra factum proprium come invece ritenuto dal primo giudice (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 972/2021, cit.).

6. Quanto alla circostanza che la stessa offerta dell’odierna appellante non fosse rispettosa dei C.A.M., va osservato che, in disparte il fatto che ciò non configura vizio finché detta offerta era conforme alla lex specialis, in ogni caso la controinteressata, ove avesse inteso farlo valere quale motivo di necessaria esclusione della ricorrente dalla gara (assumendo, in sostanza, che la sua offerta era affetta dagli stessi vizi che rimproverava agli altri concorrenti), avrebbe dovuto farlo proponendo impugnazione incidentale avverso l’ammissione in gara della stessa ricorrente e non con mera eccezione.

Ciò posto, l’indicata circostanza non rileva neppure sul piano dell’interesse a ricorrere, come accennato in precedenza.

Una volta chiarita l’ammissibilità del gravame rivolto contro un’aggiudicazione viziata dal mancato inserimento dei criteri ambientali minimi nella legge di gara, la conseguenza dell’accoglimento di tale censura è la caducazione dell’intera gara e l’integrale riedizione della stessa, emendata dal vizio in questione.

….. deduce in argomento che «il ricorso di prime cure è carente di interesse attuale e concreto, non essendo chiarito come e in quale parte l’introduzione dei CAM asseritamente carenti avrebbe potuto sovvertire gli esiti della gara comunque ampliare la sfera degli interessi della società Pastore che ha partecipato e concorso ad armi pari con gli altri operatori economici alle condizioni date».

In realtà, come già chiarito, è pacifico che in un caso del genere rilevi (e sia sufficiente) l’interesse “strumentale” alla riedizione della procedura di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 972/2021, cit., con richiami di giurisprudenza).

Dal che la fondatezza anche del motivo di appello che deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per mancata dimostrazione della prova di resistenza.

7. L’accoglimento dei motivi di appello relativi alla statuizione di inammissibilità del ricorso di primo grado comporta l’esame, nel merito, delle riproposte censure del ricorso di primo grado (non esaminate dal T.A.R., arrestatosi alla ridetta decisione in rito) e, in particolare, del mezzo con cui la ricorrente deduce l’illegittimità della legge di gara per violazione degli artt. 34 e 71 del d. lgs. n. 50/2016.

In senso contrario all’accoglimento di tale censura l’appellata deduce che il riferimento ai C.A.M. di cui al d.m. 10 marzo 2020 dovesse considerarsi sottinteso nel (generico) richiamo all’applicabilità di tutte le disposizioni di legge e regolamentari vigenti in materia.

……, nella memoria depositata il 1° febbraio 2022, argomenta inoltre l’infondatezza del mezzo sostenendo di avere presentato un’offerta comunque conforme ai C.A.M..

Ancora, in memoria di replica l’appellata insiste sul fatto che nel caso di specie il mancato rispetto dei C.A.M. “neppure ricorre nella specie in virtù del rinvio esterno alle disposizioni vigenti contenute nel disciplinare e in considerazione dell’offerta della deducente”.

8. Tali argomenti ad avviso del Collegio non possono essere condivisi, mentre risulta fondata la censura del ricorso di primo grado riproposta nel presente giudizio dall’appellante.

In verità l’art. 18.1 del disciplinare, invocato dall’appellata, prevede il criterio dei “servizi migliorativi aggiuntivi”, per il quale sono attribuiti 5 punti per l’utilizzo di prodotti biologici”.

Ciò implica che la legge di gara ha dato rilievo ai C.A.M. unicamente sul piano dei punteggi aggiuntivi per i servizi migliorativi: il che comporta che, in assenza, ben avrebbe potuto la gara essere aggiudicata ad un’offerta del tutto non conforme alla disciplina dei C.A.M..

La conseguenza della richiamata disciplina di gara è infatti quella di relegare un contenuto necessario all’alea delle offerte migliorative.

La più volte citata sentenza n. 972/2021 di questo Consiglio di Stato ha, al contrario, chiaramente affermato che le disposizioni in materia di C.A.M., “lungi dal risolversi in mere norme programmatiche, costituiscono in realtà obblighi immediatamente cogenti per le stazioni appaltanti, come si desume plasticamente dal terzo comma dell’art. 34, il quale sancisce che “L’obbligo di cui ai commi 1 e 2 si applica per gli affidamenti di qualunque importo, relativamente alle categorie di forniture e di affidamenti di servizi e lavori oggetto dei criteri ambientali minimi adottati nell’ambito del citato Piano d’azione”.

Anche la dottrina ha chiaramente argomentato che la peculiarità innovativa del dato normativo in esame è data dalla doverosità dell’inserimento del requisito ambientale già nel “momento della definizione dell’oggetto dell’appalto”.

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è pacifica nel rinvenire la ratio dell’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi nell’esigenza di garantire “che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari” e nel diffondere l’occupazione “verde” (così, da ultimo, la sentenza n. 6934/2022).

La previsione in parola, e l’istituto da essa disciplinato, contribuiscono dunque a connotare l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un “segmento dell’economia circolare”.

9. Ne consegue che non possono ritenersi rispettate tali previsioni allegando il generico rinvio della legge di gara alle disposizioni vigenti, ovvero opponendo in memoria – in un’ottica di risultato – che l’aggiudicataria avesse comunque “offerto in gara prodotti biologici e possiede certificazioni idonee a minimizzare l’impatto ambientale nella fase esecutiva della commessa”.

Una simile affermazione non equivale a prospettare la conformità del risultato della gara allo scopo voluto dai parametri normativi evocati dalla ricorrente, perché – a tacer d’altro – esprime una rilevanza ambientale del contenuto dell’offerta che, oltre a non coincidere con lo schema normativo di riferimento, si connota per essere soltanto parziale, casuale ed occasionale: ma soprattutto, volontariamente “concessa” dall’offerente (che, in base alla legge di gara, a ciò non era tenuto).

A cura di giurisprudenzappalti.it del 14/10/2022 di Roberto Donati

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