Le certificazioni “non obbligatorie” possono essere indicate tra i requisiti di partecipazione solo se ciò sia giustificato dall’oggetto del contratto (e la richiesta deve essere motivata)

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In una procedura di gara veniva richiesto, quale requisito di partecipazione, il possesso di numerose certificazioni ISO.

L’impresa, operante nel settore, non partecipa alla gara per assenza delle certificazioni, ed impugna il bando.

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Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 11/05/2023, n. 1104, accoglie il ricorso:

2. Il Collegio ritiene che il secondo motivo di ricorso sia fondato in parte, come meglio di seguito precisato.

2.1. Viene in primo luogo esaminata la censura che riguarda la richiesta di plurime certificazioni di qualità, recata dal punto 6.2 del disciplinare di gara, alla lettera ‘b’, riportata al punto 1 della trattazione in fatto.

Come correttamente posto in rilievo dall’Amministrazione, la PA, nell’individuare i requisiti di partecipazione alla procedura di selezione del contraente, esercita un potere connotato da elevata discrezionalità.

Vi sono tuttavia dei limiti a detto potere, che il legislatore ha esplicitato nell’art. 83 D. Lgs. 50/2016. Dopo aver stabilito al primo comma che i criteri di selezione dell’operatore economico riguardano esclusivamente i requisiti di idoneità professionale (a), la capacità economica e finanziaria (b) e (c) le capacità tecniche e professionali, il secondo comma stabilisce espressamente che: «2. I requisiti e le capacità di cui al comma 1 sono attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto, tenendo presente l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e rotazione. […]». La discrezionalità della stazione appaltante deve pertanto essere esercitata nella piena osservanza del principio di proporzionalità e attinenza all’oggetto del contratto, e nel contempo dando attuazione al principio pro-concorrenziale di massima partecipazione. Ogni limitazione all’accesso deve conseguentemente trovare le proprie ragioni giustificative nelle caratteristiche specifiche del servizio oggetto del contratto, come individuate dall’Amministrazione.

Le scelte in tal modo poste in essere dalla PA sono dunque assoggettate al sindacato del GA, con riferimento (per quanto qui rileva) agli eventuali vizi di irragionevolezza ed illogicità manifesta, e all’inosservanza del richiamato art. 83 comma 2 D. Lgs. 50/2016.

In sintesi, e con particolare riferimento alla questione delle certificazioni di qualità aziendale oggetto della controversia decidenda, la giurisprudenza ha precisato, in termini pienamente condivisi dal Collegio, che in virtù dei criteri ermeneutici sopra enunciati l’Amministrazione è tenuta a richiedere le certificazioni obbligatorie per legge, mentre ulteriori certificazioni potranno essere indicate tra i requisiti di partecipazione solo ove ciò sia giustificato dall’oggetto del contratto: «Anche al di fuori dei casi in cui è obbligatoria la produzione della certificazione di qualità (l’art. 40, d.lg. 163 del 2006 la prevede per gli esecutori di lavori pubblici), le stazioni appaltanti possono discrezionalmente richiederla, sicché la sua mancata produzione, rientrando, essa certificazione, tra i requisiti di carattere tecnico, porta legittimamente all’esclusione dalla gara; infatti la certificazione di qualità è preordinata ad assicurare, in funzione di garanzia qualitativa di un determinato livello di esecuzione dell’intero rapporto contrattuale, l’idoneità dell’impresa ad effettuare la prestazione secondo il livello medesimo, accertata da un organismo esterno qualificato (organismo di certificazione) e secondo parametri rigorosi definiti a livello europeo, mediante attestazione che il prodotto, processo produttivo o servizio, risulta conforme ai requisiti fissati da norme tecniche, garantendone la validità nel tempo attraverso adeguata attività di sorveglianza (auditing di impresa)» (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 13 giugno 2011, n. 1464)

Nel caso di specie, a fronte dell’appalto di un servizio avente caratteristiche definite dalla stessa legge di gara come standardizzate, l’introduzione di cotante e siffatte certificazioni non obbligatorie, individuate al punto 6.2 del disciplinare quali requisiti di partecipazione alla procedura, ha l’effetto di restringere notevolmente la platea dei concorrenti (all’……… perveniva una sola domanda), e dunque si pone in contrapposizione con il principio del favor partecipationis, senza che la scelta dell’Amministrazione risulti giustificata da eventuali peculiarità del servizio, e in modo tale da risultare non supportata da adeguata motivazione in termini di logica, ragionevolezza e proporzionalità.

Peraltro, pressoché tutti i bandi adottati da altri atenei per l’approvvigionamento di servizi similari, depositati dalla ricorrente il 30 marzo 2023, non prevedono le certificazioni prescritte dall’………………. al richiamato punto 6.2, a riprova di come i requisiti individuati dall’odierna resistente siano tutt’altro che comuni nel settore merceologico di riferimento, e avrebbero dunque a maggior ragione abbisognato di una giustificazione basata sulle caratteristiche del servizio, che risulta del tutto assente negli atti della procedura di gara e appare in ogni caso di ardua configurazione, posta la natura dichiaratamente standardizzata della prestazione richiesta.

La doglianza esaminata è dunque fondata.

A cura di giurisprudenzappalti.it del 11/05/2023 di Roberto Donati

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