Art. 4 del D.lgs. 38/2021 (impianti sportivi) e requisiti del proponente: il superficiale ed erroneo parere del MIT
Un Ente formula alla struttura di supporto giuridico del MIT il seguente quesito:
“quali devono essere i requisiti di natura tecnico-economica posseduti dal soggetto proponente, nel caso di una proposta, di un intervento di riqualificazione e gestione per 20 anni di un impianto sportivo comunale, formulata ai sensi dell’art. 4 del D.lgs. 38/2021“?
Il MIT, con parere n. 3923 in data 11/12/2025, risponde nei seguenti termini:
“L’art. 4, comma 11, del D.Lgs. 38/2021 prevede che ” Si applicano, per quanto non diversamente disciplinato, dal presente articolo, le previsioni del codice di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in materia di finanza di progetto”. Con il riferimento alla materia della finanza di progetto, il rinvio al D.Lgs. 50/2016 si configura come “rinvio dinamico” e quindi oggi deve essere riferito al D.Lgs. 36/2023. L’art. 193, come modificato dal D.Lgs. 209/2024, ha reintrodotto il necessario possesso in capo al proponente dei requisiti di carattere tecnico professionali. Pertanto il proponente deve possedere i requisiti previsti per il concessionario dall’art. 33 dell’allegato II.12 del D.Lgs. 36/2023“.
Spoiler: la risposta è erronea, o comunque gravemente imprecisa.
In primo luogo colpisce il pressapochismo del Ministero, che con tutta evidenza, nella redazione del parere, ha consultato un testo di legge non aggiornato: non vi è infatti alcun “rinvio dinamico” dal d.lgs. 50/2016 al d.lgs. 36/2023, tenuto conto che l’art. 4 c. 11 del d.lgs. 38/2021 è stato modificato dal d.lgs. 29 agosto 2023, n. 120, e si riferisce oggi testualmente al “codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36“.
Ed invero, ed il Ministero pare non essersene avveduto, è il comma 6 del medesimo articolo a risolvere il quesito postogli, che, nella versione successiva alla novella, prevede espressamente che “il soggetto proponente deve essere in possesso dei requisiti di partecipazione previsti dal (…) codice“.
Il Ministero avrebbe quindi più opportunamente potuto limitarsi ad un mero richiamo a detta norma.
Così non è stato, ed occorre quindi analizzare nel merito il parere.
Come noto, l’art. 33 dell’allegato II.12 del D.Lgs. 36/2023 invocato dal Ministero, riprendendo norme da tempo vigenti nell’ordinamento (v. l’art. 98 del DPR 21 dicembre 1999, n. 554 e l’art. 95 del DPR 5 ottobre 2010, n. 207), si riferisce testualmente alle sole concessioni di lavori, e, come chiarito dalla giurisprudenza, non è analogicamente estensibile alle concessioni di servizi (Cons. Stato, V, 8 novembre 2021, n. 7417).
Con la sua risposta, quindi, il Ministero dà per scontato che la sola presenza di lavori (nella specie di riqualificazione) sia sufficiente, sempre e comunque, a qualificare il contratto quale concessione di lavori, con conseguente necessità, a suo dire, del possesso degli anzidetti “requisiti del concessionario”.
Si tratta di una conclusione fallace, che s’alligna su una falsa premessa.
Basti per il fine richiamare l’art. 180 del Codice, il quale prevede che “Le concessioni aventi per oggetto sia lavori che servizi sono aggiudicate in conformità alle disposizioni applicabili alla prestazione che caratterizza l’oggetto principale delle concessioni stesse“.
Si tratta in buona sostanza del noto principio di “prevalenza funzionale”, il quale, a seguito della procedura d’infrazione 2001/2182 ed almeno dal Codice De Lise, ha superato il principio di prevalenza economica.
Il regime di aggiudicazione applicabile ai contratti misti deve quindi oggi essere determinato in base all’oggetto principale della concessione, e tale sarà quello della prestazione maggiormente “caratterizzante” il rapporto contrattuale, ossia e giustappunto quella dotata di “prevalenza funzionale”.
Ed il fatto che la prevalenza funzionale non possa essere accordata automaticamente ai lavori, come invece si prefigge l’erroneo argomentare del Ministero, pare davvero circostanza pacifica.
Secondo la giurisprudenza, infatti, al fine di distinguere le due figure della concessione di servizi e quella di costruzione e gestione di lavori pubblici, è necessaria una valutazione di tipo “funzionale” che indaghi “in concreto” il tipo di nesso di strumentalità che lega la gestione del servizio alla realizzazione dell’opera.
Ciò posto, la giurisprudenza conclude nei seguenti termini:
- “deve optarsi per l’ipotesi della concessione di lavori pubblici se la gestione del servizio è strumentale alla costruzione dell’opera, in quanto diretta a consentire il reperimento dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione
- mentre si versa in tema di concessione di servizi pubblici quando l’espletamento dei lavori è strumentale, sotto i profili della manutenzione, del restauro e dell’implementazione, alla gestione di un servizio pubblico il cui funzionamento è già assicurato da un’opera esistente” (cfr. tra le più risalenti Cons. St. Sez. V, 30 maggio 2005 n. 2805; Id., 14 aprile 2008, n. 1600; tra le più recenti Cons. St. Sez. V, 21 luglio 2015 n. 3631; T.A.R. Campania, Salerno, I, 11 maggio 2016, n. 1165; T.A.R. Liguria, Sez. II, 05 dicembre 2017, n 906. Sul punto cfr. altresì AVCP parere AG9-08 del 03 aprile 2008; Id. Deliberazione n. 21 – Adunanza del 21 maggio 2014).
Parlandosi nel quesito di riqualificazione di un impianto esistente, pare quindi potersi ragionevolmente inferire che si versi più verosimilmente nella seconda delle ipotesi prospettate, e che rilevi quindi una concessione mista con prevalenza funzionale dei servizi.
Se così è, e comunque in tutti i casi in cui rilevi in concreto una prevalenza funzionale dei servizi, giammai l’art. 33 dell’allegato II.12 del D.Lgs. 36/2023 potrà trovare applicazione, diversamente da quanto invece opina il Ministero.
Peraltro, detta norma presuppone il possesso in capo al proponente di un “capitale sociale non inferiore a un ventesimo dell’investimento previsto per l’intervento“.
Le associazioni sportive, soggetti pure legittimati a presentare proposte ai sensi dell’art. 4, c. 12 del D.Lgs. 38/2021, non dispongono di un capitale sociale nell’accezione civilistica del termine, e sono quindi oggettivamente impossibilitate a dimostrare un requisito di tal fatta.
Le associazioni sportive dispongono però di un ben più prezioso capitale sociale, ovvero quello ritraibile dall’accezione sociologica del termine, che la superficiale ed erronea interpretazione ministeriale rischia di comprimere ingiustificatamente…
A cura di giurisprudenzappalti.it del 22/12/2025 di Elvis Cavalleri

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