Appalti: caccia senza pietà contro i Cig non chiusi, ma libertà di azione per Expo e grandi appalti
Alla notizia che l’attuale sindaco di Milano ed ex commissario di Expo Giuseppe Salaè indagato anche per turbativa d’asta per l’appalto della “piattaforma” dell’Expo e, in particolare, la fornitura di alberi, la gran parte dei media ha preso una posizione univoca ed inequivocabile: le norme sugli appalti si possono, anzi, si debbono violare.
Solo, però, quando si tratta di appalti grandissimi e, verrebbe da pensare, quando le presunte violazioni colpiscono maggiorenti molto importanti dei partiti o chi, comunque ricopre rilevanti ruoli di governo.
Leggiamo, sull’argomento, cosa ne ha scritto su Il Giornale del 24 giugno il direttore Sallusti, nell’editoriale che di per sé è programmatico: “Sala non è la Raggi e l’efficienza non è reato”. Nel descrivere brevemente le accuse, Sallusti osserva: “«Sala non avrebbe seguito le procedure alla lettera», dicono oggi i magistrati che lo hanno iscritto nel registro degli indagati. Scambiando - ammesso che sia vero - un merito (quello di avere così permesso l'apertura di Expo, sia pure raffazzonata, nei tempi previsti dopo anni di pasticci e scandali veri) per una colpa grave”.
Il direttore de Il Giornale ricorda anche il contesto nel quale l’ex commissario condusse gli appalti per Expo, il famoso “metodo Expo”: “per uscire dall'impasse dei ritardi ci fu allora un patto a tre tra procura, governo (Renzi premier) ed Expo: tutti vigiliamo e nessuno infierisce stupidamente. Fu per questo che Expo si apri per tempo, e rinfacciarlo oggi a Sala solo perché la Procura generale non ha gradito o non fu coinvolta in quella «trattativa» è un po' da vigliacchi”.
Apprendiamo, così, due nozioni. La prima: per consentire ad un evento di “aprire in tempo” (dopo che per anni comune di Milano e regione Lombardia avevano litigato proprio su chi incaricare per dirigere l’iniziativa e su come reperire i finanziamenti necessari, tenendo totalmente bloccato tutto) il “metodo Expo” consiste nella stipulazione di “patti” tra istituzioni e magistratura, rivolti, in ultima analisi, a “chiudere un occhio”. Ma, si ribadisce, solo se si tratta di mega appalti da centinaia di milioni. Del resto, nel caso di appalti del valore di miliardi, come i 2,7 miliardi del Facility Management gestito dalla Consip, di occhi ne sono stati chiusi anche due, perché nessuno si è accorto di nulla, prima che per puro caso la procura di Napoli non avesse acquisito le notizie di corruzione connesse.
La seconda nozione che si apprende è che il bravo manager pubblico non è chi gestisce i propri compiti ottenendo risultato nel rispetto delle norme, bensì chi vìola le norme, pur di ottenere il risultato ad ogni costo ed in qualsiasi modo. Di fronte, infatti, alla “figura” dell’Italia davanti al mondo o similari formule, qualsiasi violazione di legge è, insomma, da accettare e, anzi da giustificare.
Questa seconda nozione è confermata autorevolmente da La Repubblica del 25 giugno 2016, nell’intervista a Piero Bassetti intitolata “Abbiamo leggi arcaiche lui ha fatto il suo dovere il caso Raggi è diverso”.
Il pensiero di Bassetti è chiaro: “Mi viene da chiedere: dov’è il problema? Una persona normale che legge il resoconto dell’accusa non può pensare che questo. I comportamenti e gli accorgimenti adottati dal sindaco non mi sembrano in alcun modo criminali. Mi inducono piuttosto a una riflessione, mi fanno pensare a quanto siano arcaiche le nostre leggi. Credere di poter gestire un’asta così complessa come quella della Piastra di Expo rispettando criteri formalistici, come richiede l’accusa, è più che legittimo da parte dei magistrati, perché siamo sotto la legge e l’ignoranza e la violazione delle norme non sono ammessi. Ma tutti noi sappiamo che se avessimo dovuto rispettare sempre la legge ora saremmo morti”. E aggiunge: “ho l’impressione che se la condizione per fare Expo era laviolazione di qualche dettaglio, c’è quasi il dovere di un amministratore responsabile di farlo”.
Ecco la conferma: scopriamo che il dovere di un amministratore non è agire secondo legge, ma violarla; certo, nei “dettagli”, fermo rimanendo che, poi, la disputa dovrebbe essere su quale peso, estensione e rilevanza possa avere di volta in volta quel “dettaglio”.
Pochi mesi fa, fece scalpore quanto affermò il presidente della regione Campania, De Luca, quando dichiarò 13 dicembre 2016, in occasione dell’inaugurazione di tre servizi operativi nell'Ospedale del Mare a Napoli: “dobbiamo abituarci ad avere dirigenti che non hanno paura della firma, che non hanno paura di firmare una transazione, che mettono anche nel conto di avere qualche avviso di garanzia, ma quando si ha la coscienza tranquilla andiamo avanti, perché se no qua moriamo di avvisi di garanzia e la gente non ha neanche i servizi”. Non sembra, francamente, che le posizioni espresse in questi giorni dai media sul caso Sala siano molto dissimili, però.
E pensare che l’Anac ha adottato centinaia e centinaia di delibere che stigmatizzano severamente la gestione di appalti di portata ben inferiore alla piastra Expo per gestione della procedura di gara non conforme ai principi di economicità, efficacia e buon andamento dell’amministrazione, sanciti dall’articolo 97 della Costituzione.
Si vede che questi principi e le regole divengono solo “formalità” veniali, che si possono, anzi si debbono, violare se l’appalto non è da poche centinaia di migliaia di euro, bensì da centinaia di milioni o miliardi: la concorrenza, la corretta gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità, la parità di trattamento, il rigoroso rispetto dei termini, le forme di pubblicità (si veda l’arzigogolatissimo articolo 29 del codice dei contratti, che duplica o triplica le pubblicità molte volte già obbligatorie in fase di gara), le centrali uniche di committenza ed i soggetti aggregatori, la presenza o no del Rup nelle commissioni, la previsione di procedure “semplificate” per i contratti di valore fino a 40.000 euro che, invece, sono più complicate di quelle ordinarie, le Linee Guida, i decreti attuativi, e quanto altro ha previsto in un’alluvione di adempimenti burocratici, debbono valere solo per gli appaltini insignificanti.
Soprattutto, mentre per super appalti come Expo è opportuno che vi siano “patti” tra istituzioni per far andare avanti prendendo atto del “dovere” degli amministratori bravi di violare i “dettagli”, sia chiaro che, invece, nessuna pietà deve esservi nei confronti dei funzionari che si permettono di non “chiudere” il Cig entro 90 giorni. L’allarme sociale per la mancata chiusura dei Cig, come è noto, è elevatissimo e nessun patto tra istituzioni, nessun obiettivo da raggiungere, nessuna gestione manageriale orientata al risultato, potrebbe mai perdonare la mancata chiusura dei Cig.
Sicchè, è opportuno concentrare le attenzioni di Anac, procure penali e della magistratura contabile sui Cig non chiusi e sulla circostanza che il responsabile unico del procedimento disponga davvero di un diploma tecnico, invece che umanistico: questi sono i veri problemi. Una turbativa d’asta per una manifestazione come l’Expo cosa si vuole che sia; o si pretende che l’intricatissima ragnatela procedurale prevista dal codice dei contratti per contrastare reati (come la turbativa d’asta) soprattutto nel caso dei grandi appalti, si applichi davvero ai grandi appalti? No. L’allarme sociale è il Cig. Giusto sanzionare durissimamente chi non chiude i Cig, ma premiare chi apre gli Expo con la dovuta indulgenza per chi vìola le norme come “dovere” di bravo amministratore.
tratto da luigioliveri.blogspot.com
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