Nei contratti su beni culturali soltanto le imprese appositamente specializzate possono eseguire tali interventi. Anche in caso di consorzi di cooperative di produzione e lavoro
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Nel caso di contratti concernenti i beni culturali, tutelati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, il principio di concorrenza e del conseguente favor partecipationis è in parte attenuato alla luce del bilanciamento con gli interessi di cui all’art. 9 Cost., cosicché soltanto le imprese appositamente specializzate, anche in caso di consorzi di società cooperative di produzione e lavoro, possono intervenire direttamente su tali beni.
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Ed è legittima una clausola della lex specialis così articolata: ““A pena di esclusione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 67, co.2, lett. b), 132 e 133 del Codice di Contratti, nonché ai sensi dell’Allegato II.18 del Codice dei Contratti, i requisiti di capacità economica e finanziaria, nonché tecnica e professionale, in caso di consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro, di consorzi tra imprese artigiane e di consorzi stabili, di cui all’articolo 65, co.2, lett. b), c) e d) del Codice dei Contratti, devono essere posseduti direttamente dal consorzio, se esegue in proprio, e/o dalla/e singola/e impresa/e consorziata/e, eventualmente designata/e per l’esecuzione.
Viene confermata la posizione recentemente ribadita dal Tar Toscana ( vedi Consorzi e lavori su beni culturali. – Giurisprudenzappalti ) per cui nel settore dei beni culturali rileva il possesso dei requisiti e la qualificazione tecnica, professionale nonché economica della impresa esecutrice e non dell’entità giuridica che formalmente assume le vesti di operatore concorrente o di soggettività rilevante ai fini della partecipazione in gara.
Consiglio di Stato, Sez. V, 04/02/2025, n. 875 per le seguenti motivazioni respinge l’appello:
12.3. Ciò premesso, l’analisi delle questioni dedotte dalle parti impone una riflessione sul contenuto dell’art. 8.5.3 del Disciplinare, che gli appellanti interpretano come riferito esclusivamente ai consorzi stabili, in forza della locuzione ‘A pena di esclusione, ai sensi del combinato disposto degli art. 67, comma 2, lett. b) 132 e 133, del Codice dei Contratti’, in questo modo tenendo fuori il Consorzio xxx alla applicazione della disposizione, in quanto consorzio di cooperative caratterizzato dalla peculiarità del rapporto organico che lega consorziate e consorzio.
I ricorrenti deducono, in sostanza, l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui si interpreta la previsione di cui all’art. 8.5.3 del Disciplinare nel senso di richiedere, a pena di esclusione, che anche la consorziata di un consorzio di società cooperative di produzione e lavoro, di cui all’art. 65, comma 2, lett. b) d.lgs. n. 36 del 2023, indicata come esecutrice, debba essere autonomamente qualificata per eseguire i lavori che riguardino beni culturali, non essendo viceversa sufficiente il possesso del prescritto requisito di qualificazione da parte del Consorzio concorrente.
Tale interpretazione, ad avviso degli esponenti, si porrebbe in contrasto con il sistema normativo di qualificazione dei consorzi di cooperative di cui all’art. 67, comma 5, d.lgs. n. 36 del 2023, pacificamente riconosciuto dalla disciplina e dalla giurisprudenza di riferimento, che non può logicamente venire meno allorchè di tratti di procedure di appalti afferenti al settore dei beni culturali.
12.4. L’assunto non può essere condiviso.
L’art. 8.5.3 del Disciplinare dispone: “A pena di esclusione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 67, co.2, lett. b), 132 e 133 del Codice di Contratti, nonché ai sensi dell’Allegato II.18 del Codice dei Contratti, i requisiti di capacità economica e finanziaria, nonché tecnica e professionale, in caso di consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro, di consorzi tra imprese artigiane e di consorzi stabili, di cui all’articolo 65, co.2, lett. b), c) e d) del Codice dei Contratti, devono essere posseduti direttamente dal consorzio, se esegue in proprio, e/o dalla/e singola/e impresa/e consorziata/e, eventualmente designata/e per l’esecuzione.
Tenuto conto, infatti, della particolare specificità del settore dei beni culturali, caratterizzati da una particolare delicatezza derivante dalla necessità di tutela dei medesimi, in quanto beni testimonianza avente valore di civiltà, espressione di un interesse altior nella gerarchia dei valori in gioco (articolo 9 della Costituzione), per i quali l’articolo 36 del TFUE consente esplicitamente una compressione del principio di concorrenzialità allorquando la stessa sia sorretta da ‘giustificati motivi’ – e in aderenza a quanto operativamente previsto dall’articolo 9, co.4, dell’Allegato II.18 al Codice dei Contratti, si applica per l’appalto di specie il regime speciale dei beni culturali di qualificazione ‘in proprio’ e il c.d. divieto di cumulo alla rinfusa.
Pertanto, l’operatore che esegue i lavori deve essere dotato in proprio di una qualificazione specialistica, al fine di assicurare una effettiva e adeguata tutela al bene culturale oggetto di intervento.
La finalità di tale disciplina è quella di evitare che l’intervento sui beni culturali sia effettuato da soggetti non qualificati, a prescindere dall’esistenza di un soggetto che se ne assuma la responsabilità nei confronti dell’Amministrazione. Si tratta di un profilo che attiene alla funzione di tutela dei beni culturali, che giustifica, sul piano della comparazione dei valori, anche una limitazione della regola della concorrenzialità, con il suo portato del favor partecipationis”.
Orbene, il Collegio ritiene che l’art. 8.5.3 del Disciplinare chiaramente specifica che, in caso di partecipazioni di consorzi di società cooperative di produzione e lavoro o di consorzi stabili (di cui all’art. 65, comma 2, lett. b), c) e d) del d.lgs. n. 36 del 2023, trattandosi di beni culturali “… i requisiti di capacità economica e finanziaria, nonché tecnica e professionale …, devono essere posseduti direttamente … dalla/e singola/e impresa/e consorziata/e, eventualmente designata/e per l’esecuzione”. Pertanto, è corretta l’interpretazione offerta dal Giudice di prima istanza in ordine alla applicazione dell’art. 8.5.3 anche ai consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro, come xxx, in quanto esplicitamente previsto dalla suindicata disposizione.
Depone in tal senso il chiaro tenore letterale della norma nella parte in cui richiede che il soggetto esecutore sia ‘in proprio’ in possesso dei relativi requisiti, che sono stati richiesti a pena di esclusione.
La regola iuris del caso concreto considera tre possibili alternative, come si evince dalle congiunzioni e/o, rispetto alle quali si impone la verifica del possesso dei requisiti di qualificazione che devono essere posseduti dall’esecutore, ossia dal consorzio, se esegue in proprio l’intera prestazione, o dal consorzio e dalla consorziata, se eseguono entrambi, quota parte, la prestazione, oppure dalla consorziata designata.
Va rammentato che la giurisprudenza di settore, in più occasioni, ha stabilito che quando l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale decide di autovincolarsi, stabilendo le regole poste a presidio del futuro espletamento di una determinata potestà, la stessa è tenuta all’osservanza di quelle prescrizioni, con la duplice conseguenza che: a) è impedita la successiva disapplicazione; b) la violazione dell’autovincolo determina l’illegittimità delle successive determinazioni (Cons. Stato, n. 7595 del 2019; id. n. 3502 del 2017).
L’autovincolo, com’è noto, costituisce un limite al successivo esercizio della discrezionalità, che l’Amministrazione pone a sé medesima in forza di una determinazione frutto dello stesso potere che si appresta ad esercitare, e che si traduce nell’individuazione anticipata di criteri e modalità, in guisa da evitare che la complessità e la rilevanza degli interessi possa, in fase decisionale, complice l’ampia e impregiudicata discrezionalità, favorire in executivis l’utilizzo di criteri decisionali non imparziali.
La garanzia dell’autovincolo, nelle procedure concorsuali, è fondamentalmente finalizzata alla par condicio: conoscere in via anticipata i criteri valutativi e decisionali della commissione valutatrice, in un contesto in cui le regole di partecipazione sono chiare e predefinite, mette in condizione i concorrenti di competere lealmente su quei criteri, con relativa prevedibilità degli esiti.
Né il Collegio ritiene di superare l’altro principio, che del primo costituisce il corollario, per il quale la lex specialis deve essere interpretata in termini strettamente letterali, con la conseguenza che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione pubblica, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità, in ragione sia dei principi dell’affidamento che di tutela della parità di trattamento tra i concorrenti, che sarebbero pregiudicati ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex specialis medesima (Const. Stato, n. 1148 del 2019; id. n. 5746 del 2020).
Nella specie, tenuto conto della peculiarità dell’appalto, le diffuse argomentazioni difensive finalizzate a evidenziare di essere un consorzio di società cooperative di produzione e lavoro che si differenzia dai consorzi stabili con riferimento ai requisiti di capacità economica e finanziaria, nonché tecnica e professionale, non colgono nel segno, tenuto conto che la lex specialis ha specificamente imposto un requisito applicabile anche ai consorzi di società cooperative di produzione e lavoro.
Tale requisito è legittimo, in quanto la specifica qualificazione dei soggetti esecutori è volta ad evitare che l’intervento sui beni culturali sia effettuato da soggetti non qualificati, a prescindere dall’esistenza di un soggetto che se ne assuma la responsabilità nei confronti dell’Amministrazione, trattandosi di un profilo volto alla tutela dei valori costituzionalmente rilevanti di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 e che giustifica, sul piano del bilanciamento, una limitazione del principio di concorrenza e del relativo ‘favor partecipationis’.
Si tratta di un particolare regime per l’esecuzione di lavori da eseguire su beni sottoposti a tutela del d.lgs. n. 42 del 2004, previsto dagli artt. 132 – 133 del d.lgs. n. 36 del 2023, che (in sostanziale continuità con gli artt. 145 – 146 del d.lgs. n. 50 del 2016) impone ai soggetti esecutori il possesso dei requisiti di qualificazione specifici e adeguati ad assicurare la tutela del bene oggetto di intervento.
La necessaria qualificazione specialistica di ogni soggetto che esegue i lavori relativi ai beni culturali, a prescindere dal rapporto contrattuale, o lato sensu associativo, in base al quale tale intervento è eseguito, è già stato ribadito dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento all’art. 146 del d.lgs. n. 50 del 2016 (cfr. Corte cost., 11 aprile 2022, n. 91 ove si evidenzia che ‘l’elemento, comunque, decisivo è che (…) soltanto l’operatore dotato di una qualificazione specialistica può eseguire i lavori relativi a tali beni, e questo di per sé assicura loro una effettiva e adeguata tutela’.
La Corte costituzionale, nella vicenda in esame, analizzando la disciplina sul subappalto, con specifico riferimento al requisito di qualificazione OG2 – oggi previsto nell’Allegato II.18 (art. 4, comma 3) richiamato dall’art. 133 del d.lgs. n. 36 del 2023, conferma l’assoluta necessità che il soggetto esecutore ne sia in possesso, con ciò non impedendo in astratto l’utilizzo ‘in radice’ di tale istituto nell’ambito degli appalti di cui al Titolo III della Parte VII del d.lgs. n. 36 del 2023, purché l’impresa non sia esecutrice di tali specifici lavori, ma, ad esempio, la sua quota di partecipazione abbia ad oggetto prestazioni (nolo a freddo, mera attività impiantistica senza opere murarie ecc.) non implicanti la diretta manutenzione degli immobili.
In conclusione, ritiene il Collegio che nel caso di contratti concernenti i beni culturali, tutelati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, il principio di concorrenza e del conseguente favor partecipationis è in parte attenuato alla luce del bilanciamento con gli interessi di cui all’art. 9 Cost., cosicchè soltanto le imprese appositamente specializzare possono intervenire direttamente tu tali beni.
Ne consegue che la previsione di cui all’art. 8.5.3 del Disciplinare secondo cui: ‘l’operatore economico che esegue i lavori deve essere dotato in proprio di una qualificazione specialistica, al fine di assicurare una effettiva e adeguata tutela del bene culturale oggetto di intervento’, appare una limitazione ragionevole e proporzionata, in quanto orientata alla tutela dei beni protetti espressamente dalla Costituzione.
A cura di giurisprudenzappalti.it del 04/02/2025 di Roberto Donati
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