Categorie a qualificazione obbligatoria: una, nessuna o centomila?

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L’acceso dibattito di questi giorni si concentra sulle conseguenze da trarsi dall’intervenuta abrogazione, per scure del cd. correttivo, dell’articolo 12 del decreto-legge 28 marzo 2014 n. 47 (d’ora in poi DL Expo), che come noto disciplinava le categorie a qualificazione obbligatoria e le SIOS, e conduce a possibili conclusioni opposte e reciprocamente escludenti.

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Una prima possibile tesi

Secondo un primo ragionamento, invero per primo sviluppato su questo sito dall’amico Roberto Donati (cfr. questo articolo), risulta evidente la “mano invisibile” del MIT nell’abrogazione della prefata norma, tenuto conto che sin dal parere 2336/2024 ne propugnava un’abrogazione implicita (ripudiata dalla giurisprudenza amministrativa prevalente che riteneva ancora vigente l’art. 12 del DL Expo).

Pertanto, a fortiori dopo il correttivo che esplicita l’abrogazione, secondo detta tesi “si deve ritenere che non sussista più alcuna disciplina specifica in materia di SIOS e, non ricorrendo alcuna distinzione tra categorie a qualificazione obbligatorie e non, ad oggi tutte le categorie sono a qualificazione obbligatoria”.

Sulla base di detto assunto, quindi, per l’utile partecipazione alla gara si renderà necessario costituire un raggruppamento temporaneo d’imprese, ovvero ricorrere all’avvalimento o al cd. subappalto qualificatorio, in modo da garantire con tali forme la qualificazione su tutte le categorie scorporabili.

Sempreché, s’intende, il subappalto qualificatorio possa ritenersi istituto giuridico sopravvissuto all’abrogazione dell’art. 12 del DL Expo che lo legittimava. Il punto, non trattabile in questa sede, sarà oggetto di apposito approfondimento.

Una seconda possibile tesi

Operando viceversa un opposto ragionamento, una volta abrogato l’art. 12 del DL Expo “non sarebbe più possibile individuare categorie di lavorazioni scorporabili a qualificazione obbligatoria”, con il risultato della piena operatività di quanto previsto dall’art. 30 dell’allegato II.12 al Codice, che consente al concorrente singolo di partecipare alla gara qualora in possesso dei requisiti relativi alla sola categoria prevalente, ma per l’importo totale dei lavori (argomento da T.A.R. Toscana, I, 15 ottobre 2024, n. 1177).

Seguendo detto orientamento, quindi, la qualificazione in prevalente sarebbe sufficiente per eseguire in proprio anche tutte le lavorazioni scorporabili, pur in difetto della relativa qualificazione.

Per l’effetto, l’eventuale subappalto di dette lavorazioni sarebbe meramente facoltativo: il subappalto qualificante, in un tale contesto normativo, non avrebbe semplicemente più ragione d’esistere.

Una variante di detta tesi, tenuto conto della certa esistenza delle categorie a qualificazione obbligatoria, in quanto contemplate dal Codice, ma tenuto al contempo conto della loro mancata identificazione, ritiene astrattamente possibile una loro individuazione discrezionale da parte della stazione appaltante, in analogia a quanto sostenuto dal MIT in relazione alle SIOS: “La valutazione di cosa sia “SIOS” è rimessa alla stazione appaltante” (parere 2122/2024).

Il “pomo della discordia”

A partire almeno dalla Merloni, e sino a ieri, la partita interpretativa era semplice.

Quanto alla “partecipazione”, le carte erano (e sono) le medesime.

Basti vedere l’art. 95, c. 1 del DPR 554/1999, trasfuso dipoi nell’art. 92 del DPR 207/2010, e convolato oggi a “nozze d’oro” con l’art. 30 dell’allegato II.12 al d.lgs. 36/2023, che lo riproduce negli stessi esatti termini.

Quanto all’”esecuzione”, le carte cambiano. Cambiano parecchio.

Tanto il DPR 554/1999 (art. 74), quanto il DPR 207/2010 (art. 109, a cui ha dipoi supplito proprio il celeberrimo art. 12 del DL Expo) prevedevano:

  • in “positivo”, la possibilità per l’impresa in possesso della qualificazione nella categoria prevalente di eseguire direttamente tutte le scorporabili, anche se non in possesso delle relative qualificazioni (o di ricorre al subappalto facoltativo).
  • in “negativo”, l’impossibilità per le imprese qualificate per la sola categoria prevalente e prive di adeguate attestazioni di eseguire direttamente le categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria (che potevano in tal caso ricorrere al subappalto qualificante).

Ambedue detti corpora normativi, naturalmente, si premuravano di definire e di identificare dette peculiari categorie per le quali non era bastevole a fini esecutivi la qualificazione nella categoria prevalente.

Il nuovo Codice, inspiegabilmente:

  • non si premura, né in positivo, né in negativo, di stabilire in maniera chiara ed univoca i requisiti necessari all’esecuzione; anche in quanto
  • rimane silente su quali (e cosa) siano le categorie con obbligo di qualificazione e su quali (e cosa) siano le SIOS.

Considerato il superamento del divieto di avvalimento e dei limiti al subappalto, la questione SIOS è marginale, e rileverebbe solo a seguito di una “zappa sui piedi” (i.e. applicazione dell’art. 104 c. 11 o dell’art. 119 c. 2 del Codice).

La questione delle categorie a qualificazione obbligatoria è viceversa di primaria importanza, ed ha un riflesso diretto ed immediato sul sistema “lavori pubblici”, potenzialmente esiziale e certamente foriero di una sua paralisi o di bradipnea sino a nuovi “segnali di fumo” da parte del legislatore.

La questione richiede una soluzione, anche imperfetta, ma che quanto meno assecondi la teoria del minore dei mali.

Le basi giuridiche delle due tesi

Rinviando a quanto già da altri compiutamente dedotto (cfr. questo articolo di F. Bertelli), basti qui evidenziare che rileva una possibile antinomia tra l’articolo 2 (comma 2) e l’articolo 30 dell’Allegato II.12 nella misura in cui:

  • il primo prevede che “La qualificazione in una categoria abilita l’operatore economico a partecipare alle gare e a eseguire i lavori nei limiti della propria classifica”;
  • il secondo prevede che “Il concorrente singolo può partecipare alla gara qualora sia in possesso dei requisiti (…) relativi alla categoria prevalente per l’importo totale dei lavori ovvero sia in possesso dei requisiti relativi alla categoria prevalente e alle categorie scorporabili per i singoli importi. I requisiti relativi alle categorie scorporabili non posseduti dall’impresa devono da questa essere posseduti con riferimento alla categoria prevalente”.

La prima tesi sorregge sé stessa valorizzando l’armonia tra la conclusione tratta e l’art. 2 comma 2 del citato allegato II.12: se “La qualificazione in una categoria abilita (…) a eseguire i lavori nei limiti della propria classifica”, si può logicamente dedurre che “per “eseguire i lavori” è necessario essere in possesso di adeguata qualificazione” (così T.A.R. Calabria sez. I – Reggio Calabria, 26 ottobre 2023, n. 782; in termini T.A.R. Piemonte, II, 16 gennaio 2024, n. 23, condivisa dalle delibere ANAC 8 maggio 2024, n. 225 e 5 giugno 2024, n. 278; da ultima T.A.R. Lazio, IV-Ter, 03 gennaio 2025, n. 90).

La seconda tesi sorregge sé stessa valorizzando l’armonia tra la conclusione tratta e l’art. 30: se “I requisiti relativi alle categorie scorporabili non posseduti dall’impresa devono da questa essere posseduti con riferimento alla categoria prevalente”, si può logicamente dedurre che la qualificazione nelle categorie scorporabili non sia obbligatoria, in quanto giustappunto surrogabile con la qualificazione in prevalente (argomento da T.A.R. Toscana 1177/2024 cit.).

La prevalenza dell’una o dell’altra norma, secondo l’autore, determinerebbe la prevalenza della prima o della seconda tesi, prevalenza che epperò, nonostante i pregevoli sforzi, è stato impossibile affermare univocamente. Il quesito rimane irrisolto: “E’ l’articolo 30 che deve essere letto alla luce dell’articolo 2, comma 2 o il contrario?”.

Una possibile risposta al quesito

A mio avviso la domanda è un’equazione impossibile o, meglio, un falso dilemma: gli art. 2 e 30 dell’allegato II.12 al Codice devono essere letti alla luce dell’art. 100 del Codice.

Serve una premessa per comprendere la ragione del ribaltamento di prospettiva.

Come noto, per assecondare la volontà del redattore del Codice di renderlo immediatamente “autoesecutivo”, è stato sperimentato un “innovativo meccanismo di delegificazione che opera sugli allegati al codice (legislativi in prima applicazione, regolamentari a regime)” (così la relazione illustrativa).

Pertanto, oggi, per quel che quivi più rileva, “l’articolo 100, comma 4 – che definisce il sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici – richiama direttamente, per le disposizioni di dettaglio, l’allegato II.12, che conserva – nelle more della programmatica operazione delegificativa, rimessa ad un futuro regolamento ministeriale – il rango di norma primaria, e non regolamentare” (così il parere 1463/2024 reso dal Consiglio di Stato sul correttivo).

Rinviando ad altri scritti (cfr. questo articolo) per avvedersi delle perplessità che ammantano detto meccanismo -che devia dal comma dallo schema dell’art. 17, c. 2 della legge 23 agosto 1988 n. 400, e non esplicita le “norme generali regolatrici della materia” ivi previste per legittimare la delegificazione stessa-, basti qui evidenziare che Il concetto è importante per due ragioni:

  • in primo luogo, sotto il profilo evolutivo, l’allegato II.12, benché oggi norma primaria, ha carattere interinale e provvisorio, ed è destinato a degradare ad atto regolamentare;
  • in secondo luogo, sotto il profilo gerarchico, le disposizioni contenute negli allegati, “a prescindere dal livello di fonte da cui scaturiscano, rivestono comunque una connaturale funzione essenzialmente attuativa e di dettaglio” parere 1463/2024 cit.).

La conseguenza è ancora più importante: siccome la funzione degli allegati (di fonte primaria o secondaria che siano) è quella di produrre “contenuti strettamente attuativi degli articoli del Codice”, essi (ed i futuri regolamenti) giammai potrebbero porsi in contrasto con il Codice e, comunque, in caso di conflitto è necessario “preservare la stabilità e la certezza della disciplina recata nel Codice in senso stretto” (Ibidem), accordandovi quindi inesorabile prevalenza a fini interpretativi.

È ora possibile tornare all’art. 100 del nuovo Codice, principiando però dal suo predecessore, ovvero l’art. 60 del DPR 207/2010, il quale al terzo comma prevedeva che “l’attestazione di qualificazione rilasciata a norma del presente titolo costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell’affidamento di lavori pubblici”.

L’art. 100, elaborando detta norma, prevede al comma quarto che “il possesso di attestazione di qualificazione in categorie e classifiche adeguate ai lavori da appaltare rappresenta condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dei requisiti di partecipazione di cui al presente articolo nonché per l’esecuzione, a qualsiasi titolo, dell’appalto”.

Riduciamo ai minimi termini la norma: “il possesso di qualificazione in categorie adeguate ai lavori da appaltare rappresenta condizione necessaria per l’esecuzione dell’appalto”.

Il carattere innovativo della norma è evidente: il fatto che l’attestazione di qualificazione (con puntuale specifica sull’adeguatezza delle categorie e delle classifiche) sia presupposto per l’esecuzione a qualsiasi titolo dei lavori, esclude sotto il profilo logico che possa predicarsi la sufficienza della sola qualificazione in prevalente in quanto, in termini di legge, inadeguata in relazione ai lavori da appaltare.

Considerazioni conclusive

Risulta quindi probabilmente corretta la prima tesi, secondo la quale tutte le categorie sono oggi a qualificazione obbligatoria.

Il che, tuttavia, diversamente da quanto sostenuto dalla prima giurisprudenza, non configura affatto “un esito rassicurante del quadro normativo in tema di qualificazione degli operatori economici” (così T.A.R. Calabria 782/2023 cit.).

Rinviando alle critiche da altri ben sviluppate (cfr. ancora questo articolo di F. Bertelli), basti qui richiamare il noto parere del Consiglio di Stato (n. 3014/2013, § 6 e ss.), pronunciamento che per assurdo rese necessaria l’introduzione nell’ordinamento dell’art. 12 del DL Expo, che ben evidenziava la complessiva irrazionalità del sistema di qualificazione (sul punto annullato), nella misura in cui prevedeva che il 90% circa delle categorie ivi contemplate fossero a qualificazione obbligatoria.

L’irrazionalità è quindi acuita dal fatto che le categorie a qualificazione obbligatoria sono oggi elevate al 100%, sebbene parzialmente contemperata dall’espunzione dei limiti percentuali al subappalto, legittima dubbi rispetto alla compatibilità con la “disciplina comunitaria che, in tema di qualificazione e di capacità tecnica, si limita, invece, a fare riferimento ai lavori analoghi svolti negli ultimi cinque anni, con conseguente compressione della libertà di organizzazione” (Ibidem).

D’altro canto, nemmeno la seconda tesi, in quanto costituisce l’estremo opposto, sfugge a possibili censure di irrazionalità.

Non verrebbe in tal secondo scenario adeguatamente presidiata l’esigenza, connaturata nello stesso sistema SOA, per cui “interventi, che, per la loro rilevante complessità tecnica o per il loro notevole contenuto tecnologico, richiedono competenze particolari” (Ibidem), debbano essere eseguite da imprese in possesso di specifica qualificazione.

In altri termini, le “garanzie offerte, in sede di gara, dal possesso dei requisiti relativi alla categoria prevalente non implicano, d’altro canto, una fungibilità, in sede esecutiva, tra le varie qualifiche richieste” (Corte Cost. n. 91/2022).

Eloquente è il caso dei beni culturali, ove la centralità della loro tutela rende recessiva la massima apertura alla concorrenza nell’affidamento dei contratti in parola.

Riducendo all’assurdo: per la seconda tesi una OG2 scorporabile potrebbe essere eseguita direttamente dall’operatore economico sprovvisto di detta categoria, ma qualificato in prevalente.

Il tutto in chiaro (e paradossale) contrasto con quanto previsto dall’art. 132 del Codice, che rende inapplicabile l’istituto dell’avvalimento per i contratti di lavori concernenti i beni culturali, e con irrimediabile frustrazione della sottesa finalità di “assicurare che i lavori vengano direttamente eseguiti da chi abbia la specifica qualificazione richiesta, nonché mezzi e risorse necessari a preservare una tale categoria di beni” (Ibidem).

Come detto, la prima tesi, oltre ad essere conforme al “Codice in senso stretto”, rappresenta forse il minore dei mali, a patto che si ritenga di perdurante applicabilità l’istituto del subappalto qualificatorio, di cui come anticipato s’avrà modo di parlare in un prossimo articolo.

Solo ove applicabile, infatti, potrebbe sostenersi un ragionevole bilanciamento tra iper-specializzazione richiesta dalla norma (i.e. appalto eseguito da soggetti qualificati in tutte le categorie) ed esigenze di apertura alla concorrenza, tenuto conto che il subappalto è modello organizzativo più agile e di più immediata accessibilità rispetto all’avvalimento e/o ai raggruppamenti temporanei, tenuto conto della responsabilità solidale che questi ultimi presuppongono.

A cura di giurisprudenzappalti.it del 16/01/2025 di Elvis Cavalleri

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