Tasso di assenteismo medio documentato e certificato da professionista. Può discostarsi da quello delle Tabelle Ministeriali
Nell’accogliere l’appello il Consiglio di Stato ribadisce che lo scostamento tra i costi del lavoro stabiliti nelle offerte e quanto indicato nelle tabelle ministeriali è ammissibile, purché adeguatamente giustificato dall’impresa in sede di giudizio di anomalia.
L’impresa appellante impugna la sentenza nella parte in cui è stata accolta la doglianza della seconda classificata con cui era stato lamentato come essa avesse indicato minori costi per il personale sulla base di un calcolo del tasso medio di assenteismo (3.69% rispetto al monte ore lavorate teorico annuo) inferiore di circa la metà rispetto a quello previsto dalle tabelle ministeriali (6,5%).
L’appellante aveva evidenziato di essersi riferita ai propri dati storici, effettivi e analitici di assenteismo medio del triennio precedente, documentabili e certificati da un professionista, relativi al proprio personale in servizio per lo svolgimento di un appalto analogo svolto dal 2014 per la stessa stazione appaltante.
Sul punto il primo giudice, premesso che il tasso di assenteismo dipende in larga parte dalle caratteristiche specifiche del personale impiegato (stato di salute; età anagrafica; appartenenza di genere), osservato trattarsi di un appalto caratterizzato da alta intensità dell’impiego di manodopera e richiamata la giurisprudenza che segnala in materia la necessità di stime prudenziali, ha ritenuto non corretto che l’aggiudicataria avesse fatto riferimento al proprio tasso di assenteismo aziendale, corrispondente a personale diverso da quello da impiegare nell’appalto, e ciò per effetto della c.d. “clausola sociale” di cui alla legge di gara. Ha quindi ritenuto che il denunziato scostamento, “vistoso e significativo”, comportasse “maggiori costi stimabili nella somma (allegata dalla ricorrente e non contestata dalle controparti) di circa € 150.000,00, che non può trovare una sufficiente compensazione nella somma di € 40.000,00 accantonata per far fronte a spese impreviste e nella somma di circa € 34.000,00 di utile stimata dalla controinteressata”.
Consiglio di Stato, Sez. V, 10/11/2021, n. 7497 accoglie l’appello :
3.1. Nel predetto percorso argomentativo il primo giudice, nel rapportare lo scostamento in parola all’importo di € 150.000,00, ha tenuto conto della stima effettuata da ……
Ma tale stima non può essere confermata, risultando – come lamenta la parte appellante – sproporzionata rispetto all’effettivo numero dei lavoratori da assorbire in virtù della clausola sociale prevista dalla legge di gara, da cui l’erroneità della sentenza impugnata.
3.2. Ai sensi della clausola sociale in parola (art. 17 del Foglio Patti e Condizioni) “l’Aggiudicatario si obbliga prioritariamente all’assunzione del personale delle ditte che svolgevano precedentemente il servizio in appalto, in applicazione delle norme dei contratti collettivi di settore – Comparto Servizi Integrati/Multiservizi”.
Detto contratto collettivo di settore, all’art. 4, dispone che il “cambio appalto” è rivolto ai soli lavoratori regolarmente assunti a tempo indeterminato da almeno 4 mesi, escludendo così dall’applicazione della clausola sociale i lavoratori a tempo determinato, a titolo occasionale o comunque precario.
Sicchè assume rilievo la circostanza, evidenziata sia dall’appellante che dal Comune di …………, che gran parte del personale impiegato nel precedente servizio era regolato da rapporti di lavoro precari, a tempo determinato o comunque occasionali, così che solo una minima parte di esso, in quanto assunto a tempo indeterminato, risulta “assorbibile” in virtù della predetta clausola sociale.
E nulla muta considerando che, come afferma l’appellata, le giustificazioni presentate da xxxx nel corso della verifica di anomalia sembrano ventilare anche l’assunzione (a tempo indeterminato) dei dipendenti precari che svolgevano precedentemente il servizio.
Invero, ancorchè le giustificazioni possano concorrere a decrittare l’offerta presentata in gara, certo è che la stazione appaltante non potrebbe pretendere l’utilizzo di un maggior numero di addetti rispetto a quelli che l’offerente ha indicato come sufficienti per lo svolgimento del servizio (50), novero che, nella specie, alla luce dello specifico contenuto della clausola sociale, è costituito solo in minima parte da personale proveniente dalle precedenti gestioni, e, di converso, per la gran parte, da dipendenti della società aggiudicataria: bene si giustifica quindi l’indicazione da parte sua di un tasso di assenteismo minore di quello indicato dalle tabelle ministeriali, perchè rilevato su propri dati storici, connessi allo svolgimento di servizi nello stesso ambito museale, con la conseguenza che, anche laddove potesse essere rilevata una diseconomia, essa non potrebbe mai raggiungere il livello, incompensabile, considerato dal primo giudice.
Del resto, in termini generali, uno scostamento tra i costi del lavoro stabiliti nelle offerte e quanto indicato nelle tabelle ministeriali è ammissibile, purché adeguatamente giustificato dall’impresa in sede di giudizio di anomalia.
In particolare, per la giurisprudenza, “I valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali sono un semplice parametro di valutazione della congruità dell’offerta, perciò l’eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittima un giudizio di anomalia o di incongruità e occorre, perché possa dubitarsi della congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata, alla luce di una valutazione globale e sintetica” (da ultimo, Cons. Stato, III, 17 gennaio 2020 n. 414).
A cura di giurisprudenzappalti.it del 10/11/2021 di Roberto Donati
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