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Nell’accogliere il ricorso avverso il diniego di accesso agli atti (soggetto gestore che domanda informazioni in merito alla decisione di chiudere una struttura per interventi di manutenzione straordinaria e richiede al Comune la copia delle autorizzazioni edilizie ad effettuare tali lavori eventualmente rilasciate), il Tar Marche ripercorre i principi sull’accesso agli atti ai sensi della Legge 241/1990.

Ecco quanto stabilito da Tar Marche, 23/08/2023, n. 529:

2. Il ricorso è fondato e va accolto nei sensi che si vanno ad esporre.

2.1. E’ principio giurisprudenziale pacifico (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 19 ottobre 2017, n. 4838; sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269; sez. III, 16 maggio 2016, n. 1978; sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4209) quello secondo cui, al di là delle ipotesi di accesso generalizzato, deve accedersi a una nozione ampia di “strumentalità” del diritto di accesso, nel senso che la domanda ostensiva deve essere volta alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso, senza tuttavia imporsi che l’accesso al documento sia unicamente e necessariamente strumentale all’esercizio del diritto di difesa in giudizio, ma ammettendosi che la richiamata “strumentalità” vada intesa in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante. Più in dettaglio, si è affermato che l’accesso “assume invece una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale, ma anche dall’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre (cfr. tra le più recenti, Cons. St., Sez. V, 23 febbraio 2010 n. 1067). Ed invero, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, introdotto dalla l. 7 agosto 1990 n. 241, a norma dell’art. 22 comma 2 della stessa legge, come sostituito dall’art. 15, l. 11 febbraio 2005 n. 15, costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, il quale si colloca in un sistema ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione pubblica da parte dell’amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi. In quest’ottica, il “collegamento” tra l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso e la documentazione oggetto della relativa istanza, di cui al cit. art. 22, comma 1, lett. b), non può che essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2010 n. 3309, 10 gennaio 2007 n. 55 e 7 settembre 2004 n. 5873)” (Cons. Stato, sez. III, 13 gennaio 2012, n. 116).

Stante la necessità di contemperamento tra esigenze contrapposte (ampia trasparenza ed esclusione di istanze pretestuose), il diritto all’accesso documentale – pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa e a favorirne lo svolgimento imparziale – non si configura come un’azione popolare, esercitabile da chiunque, indipendentemente da una posizione giuridicamente differenziata, ma è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti si riferiscono direttamente o indirettamente, e comunque solo laddove essi se ne possano avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante (Cons. Stato, sez. V, 14 settembre 2017, n. 4346).

In applicazione dei suesposti principi, la legittimazione all’accesso agli atti della P.A. va riconosciuta a chi è in grado di dimostrare che gli atti oggetto dell’accesso hanno prodotto o possano produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, a prescindere dalla lesione di una posizione giuridica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 2018, n. 3938).

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2.2. Quanto ai rapporti tra diritto di accesso e riservatezza dei terzi, l’art. 24, comma 6, lettera d), della legge n. 241 del 1990 dispone che con norme regolamentari possono prevedersi casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi, segnatamente “quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono”; il successivo comma 7 prevede, inoltre, che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

Deve, pertanto, affermarsi che, per la tutela degli interessi giuridici, anche non giudiziari, l’accesso va sempre garantito, senza limitazioni che non siano strettamente necessarie; conseguentemente, va escluso che l’Amministrazione possa legittimamente assumere quale unico fondamento del diniego di accesso agli atti la mancanza del consenso all’accesso da parte dei soggetti controinteressati, atteso che la normativa in materia di accesso ai documenti, lungi dal rendere i controinteressati arbitri assoluti delle richieste che li riguardano, rimette sempre all’Amministrazione destinataria della richiesta di accesso il potere di valutare la fondatezza della richiesta stessa, anche in contrasto con l’opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati (TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 20 aprile 2018, n. 201 e 16 marzo 2015, n. 281).

A cura di giurisprudenzappalti.it del 23/08/2023 di Roberto Donati

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