Codice Appalti: l’intesa tra Pubbliche Amministrazioni evita la gara?
Con la delibera n. 567/2017, l’A.N.AC. ha fornito al Ministero della Giustizia un parere in merito alla legittimità di un “accordo” fra pubbliche amministrazioni attuativo dell’articolo 5, comma 6, del D.Lgs. n. 50/2016.
Il Ministero della Giustizia aveva sottoposto all’A.N.AC. i contenuti di una convenzione quadro con la Conferenza dei rettori delle università italiane, da avviare con accordi attuativi, stipulati in ambito locale tra le articolazioni territoriali del ministero e le università, aventi a oggetto attività di ricerca, consulenza, progettazione e prestazione di servizi.
L’Autorità ha anche indagato sulla possibilità di ricondurre in tale istituto l’affidamento di incarichi di ricerca e di studio alle Università da parte di pubbliche amministrazioni.
A tal riguardo nella citata determinazione n. 7/2010, l’Autorità ha osservato preliminarmente (sulla base delle indicazioni del giudice comunitario nella sentenza del 23 dicembre 2009, causa C-305/08) che le Università possono operare sul mercato alla stregua degli altri operatori economici, atteso che l’art. 7, co. 1, lett. c), della l. 168/1989, include, tra le entrate degli Atenei, anche i corrispettivi di contratti e convenzioni, ed inoltre l’art. 66, del d.p.r. 382/1980 prevede che le Università possono eseguire attività di ricerca e consulenza, mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati, con l’unico limite della compatibilità delle suddette attività con lo svolgimento della funzione scientifica e didattica.
In secondo luogo, con parere sulla normativa AG/07/15/AP del 18 febbraio 2015 (poi confermato con parere AG 34/16/AP e con Delibera n. 216 del 2 marzo 2016, fasc. n. 3136/2015), l’Autorità, tenuto conto dell’avviso giurisprudenziale in materia (in particolare ordinanza della Corte di Giustizia UE del 16 maggio 2013, causa C-564/11; Corte di Giustizia nella sentenza del 19 dicembre 2012, causa C-159/11; Consiglio di Stato, sentenza n. 3130 del 23/06/2014 e n. 3849 del 15 luglio 2013) ha chiarito che le direttive sugli appalti devono essere applicate sulla base di un approccio funzionale, e cioè in modo coerente con gli obiettivi ad esse sottesi, i quali consistono nell’imporre alle amministrazioni il rispetto della concorrenza laddove debba affidare attività economicamente contendibili.
Conseguentemente, gli accordi tra PA sono necessariamente quelli aventi la finalità di disciplinare attività non deducibili in contratti di diritto privato, perché non inquadrabili in alcuna delle categorie di prestazioni elencate nell’allegato II-A alla direttiva appalti 2004/18/CE; il contenuto e la funzione elettiva di tali accordi è quella di regolare le rispettive attività funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi uno degli enti stipulanti.
Pertanto, qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come un operatore economico (ai sensi di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 23 dicembre 2009, in C-305/08), prestatore di servizi e verso un corrispettivo, anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi.
Negli accordi tra amministrazioni pubbliche ex art. 15 l. 241/1990, dunque, assume rilievo la posizione di equiordinazione tra le stesse, al fine di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune e non di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale; occorre, in sostanza, una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione.
A cura di LentePubblica del 28/08/2017
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